Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele - Parte 4
di Redazione Picenotime
martedì 03 dicembre 2013
Quarta parte di "Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele", racconto a puntate scritto dalla nostra collaboratrice Valeria Lelli che ci riporta ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, con tanti spunti di riflessione e parole che toccano l'animo.
Martedì prossimo pubblicheremo la quinta parte, buona lettura!
I tre tedeschi che vennero a farci visita quella mattina ci comunicarono che nel pomeriggio alcuni di noi, senza specificare quali, sarebbero partiti per uno dei campi. Io ero ancora sconvolta per aver rivisto Ruben, per averlo rivisto senza averlo potuto abbracciare e per aver sentito che lui mi amava ancora.
Preparammo le valigie. Davvero poche erano le cose che potevamo portare. Per me ciò che contava era: una foto di mio padre e Aristotele. Ma sentivo già che probabilmente il cane non lo avrei potuto portare con noi. Nella lista dei nomi c’eravamo tutte e tre. Non potevo ancora decidere razionalmente se era una cosa buona o meno. Mentre aspettavamo di essere caricati su un furgoncino, per essere portati ai treni, vidi contro la vetrina di un negozio il riflesso di Ruben che mi guardava. Non riuscii a girarmi. Continuavo a guardare i suoi occhi sul vetro: sembrava un dipinto. Ripensai a quel giorno in cui avrei voluto accarezzare i suoi occhi, così lo feci…accarezzai il riflesso dei suoi occhi sulla vetrina. Ero stordita in un mare di emozioni. In quel momento mi strattonarono dalle mani Aristotele gettandolo a terra ferocemente. Io mi ribellai e presi per la prima volta in vita mia una sberla, ma più che una sberla fu un colpo fortissimo sull’orecchio che mi causò un fischio per parecchi giorni. Perché tanta violenza e ferocia verso una ragazzina che voleva solo portare con sé il proprio cagnolino? Perché ero ebrea.
Non erano dei treni ma dei vagoni senza finestre e con piccoli buchetti dai quali sentivi impercettibilmente che forse fuori c’era ancora l’aria. Si chiusero le porte e rimanemmo fermi per molto tempo. Fuori si sentivano spari e grida. Avevo il cuore in gola. Lacrimoni pieni di tristezza cadevano nel vagone. Il silenzio mi permetteva quasi di sentire il rumore delle mie lacrime che cadevano a terra. Nei vagoni non si respirava, l’aria consumata ci rendeva inebetiti e incapaci di comprendere cosa ci stesse capitando. Non so se fosse peggio la mancanza d’aria o la speranza di andare in un posto migliore che cominciava a vacillare.
Cercavo di guardare attraverso quei buchetti il mio cane, ma di fronte a quegli spari pensai che sicuramente era scappato via lontano. Ma all’improvviso si aprì una piccola fessura. Era Ruben! E mi stava letteralmente buttando Aristotele nel vagone. Mi guardò diritto negli occhi e mi disse: “Avrei fatto di tutto per renderti felice, perdonami se non ho potuto…”. Scoppiai a piangere e con la voce rotta gli risposi: “Se mi avessi guardata sempre con questi occhi, sarei stata per sempre felice.”
Le mie labbra donarono alle sue un addio dolcissimo. Abbracciai Aristotele, poi lo nascosi subito nel mio zaino...
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