Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele - Parte 7

di Redazione Picenotime

martedì 24 dicembre 2013

Settima parte di "Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele", racconto a puntate scritto dalla nostra collaboratrice Valeria Lelli che ci riporta ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, con tanti spunti di riflessione e parole che toccano l'animo.

Martedì prossimo pubblicheremo l'ottava parte, buona lettura!

Arrivati alle docce ci fecero spogliare e io, dovendo lasciare gli occhiali in mezzo a tantissimi altri, in quel momento entrai nel panico. Come avrei potuto ritrovarli in mezzo a quella montagna di occhiali? Così conclusi che se mi facevano lasciare gli occhiali voleva dire che io da lì non sarei più uscita... ma non dissi nulla.

La mia forte miopia non mi permetteva di vedere molto, i volti si confondevano; mi sentivo persa. Però eravamo così vicine l’una all’altra da riuscire a vedere distintamente il volto di quelle che mi stavano nell’immediata vicinanza. Attaccata a me c’era una signora la cui nudità toccava la mia. E in quel contatto il volto avvampò. Arrossii tutta. Mi guardai intorno: quella situazione era insopportabile, la nudità di-svelava le nostre esistenze; le nostre esistenze così violate e defraudate.

Era la prima volta, da quando era iniziata questa assurda storia, che provavo imbarazzo, vergogna. La vergogna di essere nuda di fronte all’ Altro senza averlo potuto scegliere; vergogna di non potere prendermi cura della mia corporeità. L’irreale silenzio che anticipava l’apertura delle docce lasciò il posto ad isteriche voci quando dalle docce non uscì gas, ma acqua. Ci fecero uscire in velocità dalle docce: presi due stracci da terra e me li misi addosso.

Non erano i miei vestiti ma ciò che contava per me in quel momento era fuggire da quel posto terribile. Gli occhiali li avevo lasciati lì, in mezzo a quella montagna di occhiali, di lenti che avevano sedimentate storie chissà di chi, chissà di cosa. Lenti piene di polvere, di sangue, di racconti che rimarranno per sempre lì, inespressi, inarticolati. Lenti che hanno visto l’Orrore ma che non possono narrarlo perché l’Orrore non trova parole per potersi raccontare. Non ci sono parole che possano ricordare compiutamente l’Orrore.

Quelle lenti erano, avevano il compito etico di essere, la testimonianza di ciò che era stato. La Memoria di ciò che non potrà mai essere raccontato...

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