Pir, una strategia non per tutte le tasche

di Redazione Picenotime

sabato 29 giugno 2019

Nel biennio 2017-2018 sembravano una di quelle occasioni che, di tanto in tanto, i mercati offrono agli investitori, ed in effetti così erano stati accolti, vista l’importanza del volume di capitali impiegati per “scommettere” sul nuovo strumento. In realtà, passata la sbornia della novità, i PIR hanno iniziato a manifestare delle crepe che oggi rappresentano un vulnus pesante per una fetta di mercato che ancora deve assorbire pienamente l’avvento degli ELTIF (ribattezzati, benché impropriamente, “PIR Europei”). C’è da chiedersi, giunti a questo punto, se le cause dell’impasse siano strutturali o dovute principalmente alle scelte dell’attuale governo, che in questa materia è intervenuto in maniera incisiva.

Lo anticipiamo, entrambe le risposte al quesito appena esposto sono corrette. Va detto, infatti, che non tutti avevano aperto i loro cuori, pieni di fiducia, ai PIR, accogliendoli come la nuova miniera d’oro degli investimenti. Taluni, con lungimiranza, avevano già messo in evidenza gli aspetti che, a medio termine, avrebbero costituito una sorta di trappola, soprattutto per i piccoli investitori (lavoratori a reddito fisso, padri di famiglia ecc.). Di cosa stiamo parlando? I PIR, come noto, erano stati pensati per stimolare l’economia nazionale, sulla falsariga di quanto avveniva e avviene altrove in Europa, veicolando gli investimenti verso le piccole e medie imprese quotate sul mercato italiano. Si parlava, all’epoca, di “patriottismo economico”. Una buona idea, che però si scontrava con delle difficoltà oggettive, e oggettivamente complicate da aggirare. La scarsa diversificazione, unita alla volatilità dei titoli si presentavano assolutamente non alla portata di chi non può permettersi rischi. Alla fine, ciò che risultò può vantaggioso, fu l’incentivo dei vantaggi fiscali, che lo Stato offriva ai detentori di PIR. Non a caso, in due anni furono raccolti circa 15 mld di investimenti, con un boom proprio ai nastri di partenza (quasi 11 mld). Gli italiani ci hanno creduto ma, come detto, la luna di miele è durata ben poco 

Poi è intervenuto il governo, che ha complicato ancora di più, se possibile, il panorama. Con la Legge di Stabilità viene previsto, infatti, che il 3,5 del capitale impiegato nei PIR vada indirizzato a fondi di venture capital, mentre un ulteriore 3,5% a strumenti emessi da piccole e medie imprese. Una decisione molto controversa e molto contrastata dai gestori dei fondi, che ben conoscono le cifre. Negli USA, ad esempio, solo un terzo dei venture capital garantisce ritorni economici. È chiaro, dunque, come il gap tra gli investitori di professioni e i retail è destinato ad allargarsi anche su questo fronte. In generale, i dati dimostrano una tendenza delle borse a sottostimare i fondi PIR, una tendenza iniziata già nel 2018 e che nel 2019 non sembra conoscere una pausa, sia pur temporanea. Quindi, addio PIR? No, non ci sembra di dover suggerire una soluzione così drastica. I PIR rimangono uno degli strumenti offerti dal mercato, che con una strategia bilanciata possono rappresentare una meta appetibile per investitori in grado di sostenere, almeno in parte, eventuali contraccolpi. Per i piccoli, invece, l’attenzione deve essere massima. Anche senza guardare, necessariamente, altrove. 

 

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