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Quanto sono coinvolte sul mercato del lavoro Italiano le persone disabili?

di Redazione Picenotime

martedì 13 agosto 2019

I dati Istat aggiornati al 2019 certificano che la disabilità continua ad avere un impatto consistente sull’esclusione dal mondo lavorativo nel nostro Paese: solo il 19,7% delle persone con disabilità comprese tra i 15 e i 64 anni risultano occupate, meno di un soggetto su cinque, contro una media nazionale generale del 58,7%. Anche la quota degli inattivi raddoppia tra le persone con disabilità rispetto a quella osservata nell’intera popolazione, quasi il 70% contro circa il 31%. Questi dati ci posizionano certamente sotto la media dei paesi UE e non solo.

Per fronteggiare questa situazione, in alcuni Paesi si è pensato di inserire un sostegno alla persona con disabilità: il disability manager, nel nostro paese questa figura è stata finora introdotta solo nelle grandi realtà, spesso straniere. a maggior ragione in un Paese dove la legge 68/199 è la prima a differenziare le persone con disabilità solo in base alla percentuale di invalidità, equiparando di fatto chi ha una handicap di tipo motorio a chi ha un deficit di natura diversa: è questo forse il limite maggiore di un provvedimento che non aiuta davvero a creare un rapporto di lavoro vantaggioso per entrambe le parti coinvolte.
Senza dubbio, disporre sul posto di lavoro di attrezzature e veicoli accessibili alla sedia a rotelle come quelli di Allied Mobility potrebbe essere un sicuro fattore di miglioramento.

La gravità della situazione è mitigata solo parzialmente  dall’esistenza da oltre vent’anni di una legislazione che disciplina e, almeno in linea teorica, protegge il diritto al lavoro per le persone disabili.

Nel 2019 cade infatti il ventennale della legge 68/1999, un provvedimento, per l’epoca, innovativo, nato sotto i migliori auspici e connotato da finalità certamente nobili ma anche da limiti evidenti. Il primo articolo della norma specifica che la finalità del provvedimento è “la promozione dell’inserimento e dell’integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro, attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato”. Per raggiungere questo obiettivo, la 68/199 prevede l’obbligo di assunzione delle persone con disabilità che, a seguito delle modifiche del 2018, è arrivato addirittura a essere di una persona disabile ogni quindici assunti. La legge però è caratterizzata da limiti evidenti: prima di tutto non specifica in quale ruolo queste persone debbano essere inserite e, di conseguenza, la risorsa si trova spesso in un ruolo secondario o non all’altezza delle proprie competenze. È noto che assegnare arbitrariamente a chi ha un handicap, sia esso fisico o di altra natura, un ruolo marginale all’interno della realtà lavorativa di riferimento è quasi una prassi, ancora più grave se si considera che spesso i soggetti con disabilità sono anche estremamente qualificati. In Italia, infatti, sono molte le agevolazioni pubbliche finalizzate alla realizzazione delle persone con disabilità attraverso gli studi: basti pensare che una disabilità pari o superiore al 33% garantisce un esonero totale delle tasse universitarie in quasi tutti i maggiori atenei. Il paradosso insomma è che lo Stato investe molto per formare professionisti altamente qualificati che successivamente il mercato del lavoro rigetta, marginalizza o comunque non valorizza a dovere con motivazioni a dir poco discutibili.

Probabilmente furono queste stesse motivazioni a provocare le proteste del 2018. Quando si decise di modificare la legge, che fino ad allora prevedeva l’obbligo di assunzione solo in caso di contemporanee nuove aggiunte all’organico, soprattutto i proprietari delle piccole imprese insorsero, trincerandosi dietro alla frase “ci dispiace per i disabili ma noi dobbiamo assumere chi ci garantisce il miglior risultato”. I provvedimenti attualmente in atto falliscono perché basati sul punto di vista di persone che non avevano né una disabilità né la necessaria familiarità con l’argomento. Garantire il lavoro a una persona con un problema è generalmente visto, ancora oggi, come un gesto di cui vantarsi, una buona azione di cui andare fiero o al contrario un becero sotterfugio per accedere a sgravi fiscali e agevolazioni.


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