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Fotovoltaico e riduzione del consumo di suolo, come conciliare le due priorità

di Redazione Picenotime

domenica 20 ottobre 2019

Il Rapporto su consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici pubblicato da SNPA (Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente) e ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) fornisce anche nell'edizione 2019 dati interessanti a proposito del fotovoltaico a terra. Quest'ultimo nel 2018 - l'ultimo anno per il quale, ovviamente, sono disponibili dati completi - ha fatto registrare rispetto al 2017 un utilizzo di suolo meno intensivo. Si tratta di una buona notizia, poiché proprio questa era stata una delle richieste da parte della Ue, che con l'obiettivo di arrivare nel 2050 a un azzeramento del consumo di suolo spinge i Paesi che la costituiscono a intraprendere questa strada con decisione.

I dati del rapporto

ISPRA ha fatto riferimento ai dati forniti dal GSE, il Gestore dei Servizi Energetici, e li ha filtrati prendendo in considerazione unicamente gli impianti con più di 200 kWp. Sulla base di questo parametro, nel 2017 gli impianti installati con tali caratteristiche sono stati 129, per una potenza complessiva di 116 MW, mentre quelli installati nel 2018 hanno raggiunto quota 146, ma con una potenza inferiore, pari a 95 MW. La maggior parte della potenza che è stata installata lo scorso anno si concentra in Sardegna, e in particolare in un impianto costruito vicino a Cagliari, presso il polo industriale di Assemini. Due anni fa, stando ai dati di SNPA, le installazioni registrate erano 56, su più di 92 ettari di suolo, mentre lo scorso anno si è scesi a 15 installazioni, su poco meno di 47 ettari. Nel 2017 la potenza installata era pari a circa 49 MW, mentre nel 2018 ci si è fermati a 26 MW stimati.

Perché i dati sono divergenti

Viene da chiedersi, a questo punto, quale sia il motivo per il quale i valori resi noti da ISPRA tramite il GSA siano diversi da quelli forniti da SNPA. La ragione va individuata nel fatto che i dati del GSE tengono conto anche degli impianti che sono stati installati sulle coperture di strutture o edifici agricoli, commerciali o industriali. I dati SNPA, ovviamente, non tengono conto di questi impianti, visto che non vanno a consumare suolo in più. Insomma, in questo caso si ha a che fare con classi di suolo consumato differenti.

Un trend positivo

Come è facile intuire, il dibattito relativo al consumo di suolo che si rende necessario per la realizzazione di Parchi fotovoltaici è molto vivace: a dir la verità si potrebbe parlare di una questione annosa che riemerge di tanto in tanto, visto che ci si chiede come sia possibile impostare in modo più efficace lo sviluppo delle energie rinnovabili per rimanere in linea con gli obiettivi imposti dalla decarbonizzazione. Il report di ISPRA e SNPA, in ogni caso, mette in evidenza un trend positivo iniziato lo scorso anno: si è capita, sembra, l'importanza di concentrare le nuove installazioni su strutture che già esistono, fermo restando che le installazioni a terra continuano a consumare suolo in modo consistente.

Il dibattito è aperto

D'altro canto, c'è qualche voce fuori dal coro: per esempio Fabrizio Bonemazzi, di Enel Green Power, in passato vice presidente del GIFI, il Gruppo Imprese Fotovoltaiche Italiane, secondo il quale le installazioni fotovoltaiche a terra non avrebbero inciso più di tanto dal punto di vista dell'occupazione di territorio, anche tenendo conto di quelle avvenute su terreni agricoli.

Le priorità da seguire

L'impermeabilizzazione del suolo è, al pari della riduzione del consumo dello stesso, una delle priorità da inseguire nel corso dei prossimi anni. Tuttavia, non manca chi mette in evidenza come tale obiettivo sia in contrasto con l'intento di arrivare a una decarbonizzazione entro il 2030, visto che per riuscirci sarebbe necessario aumentare di tre volte le installazioni di fotovoltaico: insomma, sembra molto difficile farlo senza occupare ulteriore suolo. Certo è che il suolo che in un futuro più o meno prossimo sarà dedicato al fotovoltaico non dovrà per forza di cose causare un irreversibile degrado del territorio o uno sconvolgimento della produzione agricola. Come dire: la sfida è aperta.


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