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Coronavirus: non contagia fino a 4,5 metri e non sopravvive 9 giorni. Nessuna prova di trasmissione alimentare

di Redazione Picenotime

sabato 14 marzo 2020

Quanto persiste il coronavirus sugli oggetti, sulle superfici di casa o dei mezzi pubblici? È sufficiente mantenere una distanza di sicurezza di 1,5 metri? Nei giorni scorsi diversi quotidiani nazionali e anche alcuni siti hanno rilanciato la notizia di uno studio di ricercatori tedeschi che, analizzando altri studi, avrebbero sottolineato la capacità del virus di persistere su acciaio, plastica e vetro fino a 9 giorni. Un’altra notizia diventata virale in poche ore, si riferiva a una ricerca in fase di pubblicazione su una rivista cinese, che ipotizzava una capacità di sopravvivenza del virus fino a 9 giorni e la possibilità di propagarsi attraverso il colpo di tosse o sternuto fino a 4,5 metri. Lo studio si basava su una persona che nel corso di un viaggio in pullman avrebbe infettato alcuni passeggeri. Il testo concludeva con altre indicazioni sulla possibilità del virus di rimanere vitale per 30 minuti nell’aria in un ambiente confinato, aumentando il rischio di contagio per le persone che vengono a contatto. La buona notizia è che la rivista ha ritirato pochi giorni fa l’articolo, segnale che rappresenta una presa di distanza sulla solidità scientifica di questi risultati.

La fonte è una rivista cinese: Practical Preventive Medicine e l’articolo si chiama: "An epidemiological survey on the aggregative epidemic of new coronavirus pneumonia transmitted by aerosols in public transport". Lo studio è stato coordinato dal ricercatore cinese Hu Shixiong. Il lavoro non è accessibile online, nemmeno come abstract, probabilmente perché è stata comunicata l’accettazione agli autori, ma lo studio non è ancora materialmente disponibile visto che l’ultimo numero della rivista risulta datato 2019.

Non è vero che il coronavirus sopravvive fino a 9 giorni e che si può propagare con un colpo di tosse fino a 4,5 metri. ”Leggendo quanto riportato dalla stampa cinese e ripreso dai media italiani – precisa Antonello Paparella, microbiologo alimentare dell’Università di Teramo – sorgono alcune perplessità. Considerando l’elevata contagiosità del virus, testimoniata da altri lavori ma soprattutto ipotizzata da questo, non si comprende come mai i passeggeri seduti sulla stessa fila del pullman non avrebbero contratto l’infezione. L’altro elemento su cui riflettere – continua Paparella – è la positività nei passeggeri presenti sullo stesso pullman, che vengono ricondotte con certezza al contagio avvenuto durante il viaggio a partire della persona che avrebbe introdotto il virus. Viene scritto che dall’indagine epidemiologica era stata esclusa l’ipotesi che i passeggeri divenuti in seguito positivi avessero in realtà avuto contatti stretti con altri soggetti positivi non presenti sull’autobus. Credo sia necessario acquisire maggiori dettagli sull’indagine epidemiologica svolta. L’esperienza dei casi di COVID-19 in Cina e in Europa sembra indicare una particolare difficoltà nel tracciare i contatti stretti, soprattutto in presenza di superspreaders. Sarebbe interessante sapere come gli autori siano riusciti a escludere che, in una nazione popolosa come la Cina, quei passeggeri non avessero una o due settimane prima, avuto un contatto stretto inconsapevole con un altro soggetto con infezione da Sars-Cov 2. Un’altra criticità dello studio riguarda la mancanza di  elementi sulle condizioni microclimatiche interne ed esterne, per esempio la temperatura, l’umidità relativa e il posizionamento delle bocchette del sistema di condizionamento, per valutare se l’eventuale contagio alla distanza di 4,5 m fosse veicolato dall’impianto di areazione, con passeggeri infettati in corrispondenza delle bocchette”.

Anche Antonio Clavenna dell’unità di farmacoepidemiologia del Dipartimento di salute pubblica dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri ha qualche dubbio sulla ricerca. “In genere durante un viaggio su un mezzo pubblico, i soggetti più a rischio sono i passeggeri seduti di fianco e quelli nelle file immediatamente davanti o dietro. È piuttosto improbabile che vengano contagiati passeggeri a molta distanza ma non quelli a fianco. Identificare il momento in cui è avvenuto il contagio non è semplice, soprattutto in contesti con un’alta densità di popolazione. In mancanza della pubblicazione originale non è possibile capire come siano stati esclusi altri contatti stretti o che altri passeggeri dello stesso autobus non potessero rappresentare una fonte di trasmissione. Non escluderei, infine, un ruolo dell’impianto di areazione nel veicolare il virus. Vedremo se gli esperti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità riterranno di modificare le loro raccomandazioni. Credo che difficilmente lo faranno sulla base solamente di questo studio. A maggior ragione considerando che è stato pubblicato su una rivista poco conosciuta nell’ambito della comunità scientifica e che la stessa ha successivamente ritirato l’articolo. Sono segnali che sollevano dubbi sull’attendibilità della ricerca”.

Il coronavirus si trasmette molto più velocemente e la via di trasmissione da temere è soprattutto quella respiratoria, non quella da superfici contaminate. I numeri dello studio risultano anche in contrasto con quanto scritto già il 10 febbraio 2020 da Giovanni Rezza del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità:  “Non deve creare allarme lo studio tedesco secondo il quale il nuovo coronavirus resisterebbe attivo sulle superfici circa 9 giorni. Questo elemento, ancora da dimostrare e condotto su altri coronavirus e non su quello cinese, non fa la differenza sul contenimento precoce dell’epidemia. Da quello che sappiamo rispetto alle precedenti malattie infettive respiratorie, Mers e Sars, infatti, il nuovo coronavirus si trasmette molto più velocemente e la via di trasmissione da temere è soprattutto quella respiratoria, non quella da superfici contaminate. È comunque sempre ricordare l’importanza di una corretta igiene delle superfici e delle mani. Anche l’uso di detergenti a base di alcol sono sufficienti a uccidere il virus”.

Non ci sono prove che il nuovo coronavirus possa essere trasmesso dal cibo. Lo ribadisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) attraverso le parole della sua direttrice scientifica Marta Hugas, che afferma come “le esperienze fatte con precedenti focolai epidemici riconducibili ai coronavirus, come quelli della SARS e della MERS, evidenziano che non si è verificata trasmissione tramite il consumo di cibi. Al momento non ci sono prove che il coronavirus sia diverso in nessun modo”.

Anche secondo l’Ecdc, il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, è improbabile che gli alimenti siano una fonte di trasmissione del virus. Infatti, anche se all’origine dell’epidemia in Cina c’è stato un passaggio del nuovo coronavirus dagli animali all’uomo, ora l’agente patogeno si sta diffondendo da persona a persona, principalmente attraverso starnuti e colpi di tosse.

Della stessa opinione è l’Istituto federale tedesco per la valutazione del rischio (BfR), che scrive: “Attualmente non ci sono casi dimostrati di contagio da questo nuovo tipo di coronavirus attraverso altre vie di infezione, come il consumo di cibi contaminati”.

Anche l’Oms sostiene che al momento non ci siano evidenze della trasmissione del coronavirus attraverso il cibo. Tuttavia, siccome le nostre conoscenze sul nuovo virus sono ancora limitate, ha pubblicato una serie di raccomandazioni precauzionali per la preparazione e il consumo dei cibi, come lavare sempre le mani prima di cucinare e dopo aver toccato cibi crudi, evitare il consumo di alimenti di origine animale crudi o poco cotti e rispettare le normali regole di igiene per evitare la contaminazione crociata.


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