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“Il giovane favoloso”, Martone porta al cinema un intimo Leopardi

di Redazione Picenotime

mercoledì 22 ottobre 2014

“Leopardi, Lei è un po’ troppo pessimista”. Giacomo dona un sorriso inzuppato di amarezza al suo critico di turno e risponde: “Pessimista. Che parola vuota, priva di senso.” È proprio quando cerchiamo di etichettare, dare una spiegazione a tutto che ci allontaniamo dal vero. Leopardi si rivolge a Paolina, sua sorella, con gli occhi brillanti di chi crede in ciò che sta per dire: “Il vero consiste del dubbio. E’ solo dubitando che ci si avvicina alla verità delle cose”.
 
È proprio quando raggiungiamo (o crediamo di raggiungere qualcosa) che lo manchiamo. E’ il non-detto, è l’invisibile, è ciò che non diciamo che ci restituisce il vero. Che ci permette di dirlo continuamente il vero, pur sempre mancandolo.

La lotta letteraria a quei tempi era feroce. Sotto lo sguardo altezzoso di molti critici coabitava una malcelata invidia nei suoi confronti. Invidia di avere uno sguardo illuminato, capace di cogliere l’infinito nella siepe, l’invisibile nel visibile. Invidia di avere il coraggio di soffrire, di non rifuggire la sofferenza. Ma guardarla in faccia con occhi attoniti e limpidi.

Invidia di avere avuto la possibilità di studiare nella immensa biblioteca di famiglia a Recanati. Luogo amato e sentito come prigione al tempo stesso. Per questo all’età di 24 anni fuggirà durante la notte per andare a scoprire il mondo. Quel mondo di cui tanto leggeva nelle lettere inviategli da Pietro Giordani, noto scrittore del tempo e suo amico, che credeva nel talento del giovane Giacomo. Mondo dal quale il padre Monaldo invece cercava di preservarlo. Anche a causa della sua malattia incurabile alle ossa.

Monaldo amava profondamente Giacomo ma non riusciva ad incontrare il suo cuore. Bellissima la frase: “Quando provo ad avvicinarmi al tuo cuore ci inciampo dentro”. E’ quello che capita a molti genitori. Inciampare nei cuori dei figli. E se li si ama realmente bisogna imparare ad ascoltare le loro parole. Ma anche i loro silenzi. Lasciandoli diventare ciò che desiderano essere. Lasciandoli andare, che questa forse è la forma più grande di amore.

Con i fratelli il legame era affettuoso e complice. La notte della partenza, nell’abbraccio d’addio, dice al fratello: “Non stancarti mai di volermi bene”. La prima parte della giovinezza a Recanati vede un Giacomo dedito allo “studio matto e disperatissimo”. Non manca in lui, anche in questa prima fase della sua vita, il desiderio di vita, di amore e di bellezza. Un desiderio che si manifesta anche in un grido muto nelle stanze che lo opprimono di casa Leopardi. Un desiderio di vita che infatti lo porterà a fuggire.

La narrazione di Martone poi si sposta a Firenze dove incontra l’amata Fanny e l’amico Antonio Ranieri. Dopo aver visto in atteggiamenti intimi il suo amico Ranieri con Fanny, la cui bellezza lo aveva profondamente affascinato, Giacomo si rifugia sulle sponde di un fiume crollando su se stesso. La visuale dall’alto lo vede accartocciato nel non-senso di questa vita.

La scelta felice e coraggiosa di Martone di affidare la colonna sonora ad Apparat – musicista tedesco che si occupa di musica elettronica - lo rende estremamente attuale, vivo. Ci aiuta a sentire che in fondo quella sofferenza ci appartiene. E ci scuote se abbiamo il coraggio di farci scuotere. Perché viviamo in un’epoca in cui bisogna rifuggire l’infelicità, la malinconia. Tutto deve essere accolto sotto una patina di (finta) allegria. Senza la capacità di mettere in discussione lo stato delle cose. Leopardi soffre. Ma è una sofferenza che trasuda vita, non è una sofferenza autoreferenziale. Lui vorrebbe rivoluzionare lo stato delle cose. La sua è una sofferenza intellettuale ma anche fisica, che gli impedisce di vivere a pieno e liberamente la propria fame di vita a causa della sua malattia.

La natura non era stata generosa con la fisicità di Giacomo, questa natura con la quale avrà da sempre un rapporto conflittuale. Ha bisogno di essa. Emblematico è il momento in cui nell’orto, a Torre del Greco, prende un pugno di terra e rimane a guardarla.

Non casualmente nel film la Natura sarà infatti personificata dall’algida madre di Leopardi. Una donna bigotta e incapace di dare affetto ai figli. Non ci sono parole per riuscire a dire la straordinaria bravura dell’interpretazione di Elio Germano che è riuscito a liberare l’animo di Leopardi dall’etichetta di “pessimista”, come spesso viene liquidato da alcuni professori a scuola. Restituendo a noi marchigiani qualcuno da prendere come esempio: un “giovane favoloso”.

“Il giovane favoloso”, un film di Mario Martone. Nelle sale dal 16 Ottobre.

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“Il giovane favoloso”

“Il giovane favoloso”