Piceno in movimento, chiacchierata con la Prof.ssa Gianna Angelini
di Redazione Picenotime
domenica 15 giugno 2014
Docente e Ricercatrice presso l'Università di Macerata, Professoressa presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, Vicedirettore di Noemalab, Consulente ed esperta di comunicazione multimediale, Strategic Planner e molto altro, Gianna Angelini è una giovane donna che ha scelto di seguire le sue inclinazioni riuscendo a raggiungere i massimi livelli. Nata e cresciuta nel Sestriere di Porta Maggiore, Ascoli Piceno, la Angelini ha viaggiato in Italia ed Europa guidata dalla sua passione: la Semiotica.
Nel 2001 consegue la Laurea in Scienze della Comunicazione presso l'Università di Macerata, con una tesi sperimentale riguardante la Semiotica, nel 2004 ottiene il Dottorato in Filosofia presso l'Università di Francoforte. Nel 2005, vince un concorso e torna nella Marche come docente e ricercatrice presso l'Università di Macerata e, dal 2009, collabora con la Naba di Milano.
Apprezzata nell'ambiente universitario come in quello pubblicitario, è stata chiamata a rappresentare l'Italia nel gruppo di ricerca del prestigioso Planetary Collegium di Plymouth (UK). Capacità enormi, dunque, accompagnate da una personalità solare e disponibile.
Ringrazio la Professoressa Angelini che ha gentilmente accettato di condividere con i lettori di Piceno Time alcune delle sue riflessioni rispondendo a qualche domanda.
Il suo è un curriculum da far girar la testa. Ci spiegherebbe brevemente di cosa si occupa?
Principalmente mi occupo di semiotica. Mi sono laureata con una tesi in questa disciplina ed ho conseguito un Dottorato di ricerca in Germania con un progetto di ricerca legato proprio alla semiotica applicata. Mi interesso di tutto ciò che è significazione, tutti i modi, cioè, attraverso cui noi diamo un significato alle cose. In ambito lavorativo occuparsi dei significati e della simbologia in generale, mi ha portato ad interessarmi ovviamente di tante cose. Dopo il Dottorato ho vinto un concorso per un Assegno di Ricerca a Macerata. La mia situazione in Università non mi permetteva di adagiarmi, pertanto, accanto all’insegnamento, che ho iniziato a praticare subito, ho cominciato a lavorare professionalmente. In quel momento storico (sono tornata in Italia nel 2004), uno degli ambiti in cui la mia materia era più facilmente applicabile era la pubblicità. Le agenzie avevano bisogno di capire come fare affinché il pubblico interpretasse i messaggi nel modo sperato e questo mi ha portato ad avvicinarmi allo studio dell’ambito pubblicitario, pur non avendo mai abbandonato la ricerca che è, e rimane la mia passione. Lavorare nel campo pubblicitario mi ha permesso di sviluppare competenze professionali molto variegate e di vivere in prima persona, i cambiamenti dovuti alla crescente importanza dei nuovi media. Con il modificarsi dei metodi di comunicazione anche la mia specializzazione è cambiata ed ho dovuto reinventarmi costantemente. Ho iniziato così a sviluppare piani di marketing e comunicazione per aziende ed istituzioni, ho imparato la professione dello strategic planner ed ho portato la mia competenza in tutti gli ambiti in cui fosse richiesta (oltre la pubblicità, il cinema, le arti e le nuove tecnologie, per esempio) senza mai perdere i contatti con l'Estero, che considero fondamentali. Operare in più settori è stato per me molto positivo in quanto mi ha permesso di creare una sinergia tra tutte le mie varie attività, anche quelle più teoriche. Se si osserva con attenzione il mio curriculum, quindi, che spesso fa girare la testa anche a me (per quanto è caotico) dovrebbe apparire chiaro che tutte le attività che svolgo, all'apparenza tanto diverse, sono unite da un unico filo conduttore che è appunto la semiotica e lo studio dei processi di significazione. Lo stesso progetto di ricerca che sto seguendo attualmente all’interno di un Istituto di ricerca inglese, per esempio, ha la semiotica del cinema come principale oggetto di interesse.
In una società dominata dall'apparenza, per una persona dotata di adeguati strumenti culturali e del giusto ingegno, quanto è importante “sapersi vendere”? Cosa conta di più tra sostanza e forma?
Non userei il termine “sapersi vendere” in quanto non lo considero preciso, ciò che posso dire occupandomi di significazione, è che il contenuto ha una forma e la forma esprime un contenuto, pertanto forma e sostanza sono inscindibili. Come insegnante cerco di spiegare ai ragazzi che un buon contenuto deve avere una forma adeguata, che non vuol dire che debba essere spettacolare, ma che debba riuscire a presentarlo nel modo corretto. In un momento storico come questo in cui i nuovi media ci fanno credere che forma e sostanza siano in qualche modo scindibili, molti giovani sono portati infatti a trascurare l’una o l'altra. Se ci sono le competenze, raramente mi è capitato di assistere ad una incapacità di offrirgli una giusta forma, in ogni caso, però, nei casi in cui questo avviene, è giusto sottolineare come la modalità con cui viene gestita la presentazione di queste competenze sia importante, e non perché ci si “debba vendere”, ma per trasmettere il proprio messaggio e le proprie competenze in modo adeguato ad esso. Molti ragazzi a cui insegno dimostrano, in diverse occasioni, di avere enormi capacità, eppure di non riuscire ad esprimerle. È importante, dunque, riconquistare una certa forma in modo da poterla riallacciare con il contenuto espresso. Non dimentichiamo, infatti, che la forma senza la sostanza, quello che lei definisce apparenza, a lungo andare non paga. Per essere competitivi bisogna, in ogni caso, possedere delle competenze. Che basti dare un bell'involucro a capacità inesistenti è un'illusione, lo è sempre stato; una illusione che ha durata effimera.
Gli input offerti dai media ormai sembrano essere cristallizzati su determinati stereotipi e argomenti. Basti pensare ai “fenomeni” televisivi e a tutti quei personaggi, dotati di dubbie competenze, che bombardano il pubblico con discorsi privi di fondamento. Anche questo è solo apparente? Si tornerà mai a maggiori contenuti?
Stiamo vivendo un momento di grande trasformazione nel quale questi modelli, che ritengo ormai obsoleti, si trascineranno ancora per poco. I nuovi media, infatti, stanno cambiando i metodi di comunicazione ma la nostra mentalità, per ora, non sembra pronta ad abbracciare il cambiamento. Per intenderci, è come se attualmente vivessimo in una bolla che contemporaneamente mette in crisi chi è ancorato al passato e dà l'opportunità di crescere a chi ne ha voglia e ci crede. La standardizzazione dei metodi di comunicazione dei messaggi non paga più, lo si può vedere anche dal fatto che il pubblico legato a determinati modelli è sempre più “ghettizzato”. I giovani (e quando parlo di giovani parlo di ragazzi tra i 20 e 25 anni) dovranno essere il motore del cambiamento e ripongo moltissima fiducia in loro; ancora però, è come se mancasse loro il coraggio per cancellare brutalmente il “vecchio”. Cosa che, forse, ad un certo punto, qualcuno dovrà fare.
A cosa è dovuta questa mancanza di coraggio? Secondo lei è imputabile alla mancanza di spazio offerto ai giovani?
I giovani hanno tutte le potenzialità per scardinare il sistema attuale, ma sono imbrigliati da molti fattori. L'attuale condizione socio economica, il sistema educativo familiare e quello scolastico non li aiutano. Proprio l'educazione (intesa in generale), infatti, che dovrebbe spingerli a rompere degli schemi prestabiliti, e a farli pensare con la loro testa, non si dimostra all’altezza di queste capacità; probabilmente le generazioni precedenti, anche precedenti alla mia, non sono riuscite a dare ai ragazzi i giusti strumenti per farlo, sia in casa che a scuola. In ogni caso le potenzialità ci sono e, sono fiduciosa che, quando la condizione socio economica subirà un miglioramento e il sistema educativo si adeguerà al nuovo, il cambiamento ci sarà.
Lei è marchigiana, del Piceno, per l'esattezza. Pensa che essere nata in una realtà provinciale l'abbia penalizzata?
Sicuramente il fatto di provenire da una realtà provinciale marchigiana mi ha dato l'imprinting che ho oggi. Essere nata ad Ascoli Piceno, da famiglia abruzzese, mi ha donato quella solidità, tipica delle nostre famiglie, che mi ha portato, negli anni, a risolvere molti problemi in maniera semplice. Le mie origini geografiche sono per me una preziosa risorsa che comprendo e apprezzo sempre di più ogni anno che passa. Osservando la strada che ho percorso, e che ancora percorro, per costruirmi un futuro, noto, inoltre, che, se io ho avuto qualche problema di natura logistica, in particolare fino alla maggiore età dovuto alla mia provenienza, oggi lo sviluppo del web ha cancellato questo tipo di difficoltà. Chiunque, in qualunque luogo, se motivato, può leggere, informarsi su ciò che lo circonda, avere ed offrire cose in tempi quasi reali, e dunque, attualmente la frustrazione per il fatto di provenire da una realtà di provincia è, dal mio punto di vista, anacronistica. Ormai l'unico indirizzo che ti chiedono è quello mail e mezzi come skype, per esempio, permettono di comunicare con persone che risiedono in ogni parte del mondo. Anche gli spostamenti sono diventati più facili, rispetto, per esempio, ai tempi dei nostri genitori, dunque, per molti, la provincia rischia di diventare un capro espiatorio, un alibi che nasconde altri blocchi. Ho riscontrato questo, mio malgrado, notando la costante diminuzione delle richieste di borse di studio per l'Estero. Le opportunità ci sono, è necessario il coraggio per sfruttarle.
Secondo lei, dal punto di vista culturale, quali sono le eccellenze della realtà Picena ed in cosa, invece, possiamo migliorare?
Come ho detto, il mio percorso non è stato canonico, in quanto sono tornata a lavorare nel Piceno dopo numerose esperienze in altre parti di Italia e all'Estero. Nonostante nella Provincia di Ascoli non ci sia una enorme richiesta della mia professionalità, devo dire che ho trovato una realtà in cambiamento che, anche grazie a numerosi investimenti, si sta aprendo nella maniera giusta. La nostra Provincia sta vivendo un'evoluzione sia dal punto di vista interpersonale che commerciale e questo mi piace molto. Non posso parlare per campi che non mi competono, rischierei di dare una visione parziale di essi, tuttavia, rispetto agli anni della mia adolescenza ad Ascoli Piceno, per esempio, il cambiamento è lampante. Un aspetto molto interessante è quello relativo alla comunicazione di nostri punti di forza, le eccellenze della Regione Marche sono quelle che tutti conosciamo, fino a pochi anni fa, però non eravamo in grado di “esportarle”seguendo i giusti canali comunicativi. Questa difficoltà in maniera graduale si sta superando e sono molto ottimista. Un esempio tra tutti, la crescente promozione di Ascoli Piceno, città affascinante e, finora, poco conosciuta. Non si può negare che il marchigiano sia una persona schiva, tuttavia, quella diffidenza che caratterizzava il nostro rapporto con gli altri ed anche il modo in cui gli altri ci vedevano, sta svanendo.
In un paese nel quale, nonostante i titoli ed il lavoro, la donna è ancora vista prevalentemente come moglie e madre, lei ha incontrato difficoltà legate al suo genere?
Nel mio settore la donna ha sempre avuto il suo ruolo e la sua importanza. Proprio per questo, probabilmente, non ho avuto difficoltà a far riconoscere i miei meriti e le mie competenze, allo stesso modo, non mi sono mai sentita discriminata per il mio genere in un concorso. Piuttosto, ho dovuto e devo tuttora superare stereotipi e pregiudizi legati ad una mentalità radicata, soprattutto in determinati ambienti. Questi pregiudizi non sono, a mio parere, legati alla mancanza di fiducia nelle capacità femminili (parlo ovviamente in ambito culturale) quanto ad una concezione legata ad una realtà che “di fatto” vede la donna come figura subordinata. In molti contesti questo tipo di pregiudizi è stato dalle stesse donne alimentato, devo dirlo da donna che conosce le donne, e non nascondo che questo tipo di barriere spesso ha avuto un peso psicologico non indifferente nelle mie esperienze, ma non userei il termine discriminazione, ecco.
Colpa dell'educazione impartita dalle donne stesse?
Sappiamo che ognuno di noi, per ragionare, ha necessità di semplificazioni cognitive, e lo stereotipo altro non è che una di queste. Per esistere, però, lo stereotipo deve essere incarnato, e dunque, se noi oggi ne parliamo, è perché tante donne hanno perpetuato un certo modello di figura femminile per molti versi non edificante. Sebbene sia un concetto radicato, tuttavia, in alcuni ambiti nel corso degli anni ho riscontrato un cambiamento. Molte barriere sono state già abbattute a mio avviso.
Per indicare una donna in carriera è utilizzata l'espressione “donna con gli attributi”. Secondo lei conferire attributi maschili alla donna per esaltarla non provoca, in realtà, un avvilimento della figura femminile?
E' necessario guardare il fenomeno in modo globale. Molte donne, nel corso degli anni, hanno ritenuto che il modo giusto per reagire alle discriminazioni fosse di dimostrarsi “donne con gli attributi” e di comportarsi pertanto come uomini. Purtroppo, in questo modo, hanno semplicemente alimentato un altro stereotipo, opposto a quello della donna subordinata ma inutile dal punto di vista della valorizzazione femminile. Donne e uomini sono diversi, con diversi punti di forza e di debolezza. Non c’è nulla di male nel riconoscerli. Personalmente sono molto felice di essere donna e ritengo di non dover reprimere la mia femminilità per vedere riconosciute le mie qualità. La donna non ha gli attributi e conferirglieli non la esalta. Gli stereotipi per essere abbattuti devono essere riformati al loro interno, tenendo sempre ben presente che essere pari non è essere uguali.
Per realizzare i suoi progetti ed avere una vita così poliedrica, sente di aver dovuto rinunciare a qualcosa?
Non parlerei di rinunce. Io mi ritengo fondamentalmente una persona curiosa, la curiosità fa parte della mia natura. La semiotica mi ha consentito di assecondare questa mia inclinazione consentendomi di guardare oltre l'apparenza delle cose e portandomi a vivere a pieno esperienze che di giorno in giorno plasmano la mia strada. Non mi pongo mai limiti e vivo le esperienze a pieno lasciandomi trasportare dalla loro evoluzione. La mia vita quindi, in questo modo, si è un po' scelta da sola. Ciò che non sono e non ho fatto, non l’ho sacrificato, semplicemente… è andata così.
Lei è riuscita ad ottenere grandi risultati in un settore difficile come quello umanistico. Non è un segreto che molti studenti, anche se appassionati di letteratura e comunicazione, scelgono di seguire corsi di studi più scientifici in virtù di una maggiore sicurezza economica. Che consiglio si sentirebbe di dare a chi volesse seguire le sue orme?
La divisione tra settore scientifico ed umanistico è ormai stata superata. Non si può più pensare di relegare la propria attività ad un solo ambito cristallizzando le discipline in settori separati. Al contrario il futuro ci porterà ad una collaborazione sempre maggiore tra esperti di discipline tecniche ed umanistiche. Già oggi, è considerato normale vedere tavoli di discussione nei quali sono presenti ingegneri e filosofi, medici e comunicatori, cosa impensabile fino a 30 anni fa. Ciò potrebbe confondere, ma aprirà orizzonti inimmaginabili. In generale, agli studenti che si trovano a scegliere il loro percorso formativo direi che è importante seguire le proprie inclinazioni, di qualsiasi natura essere siano. Nel momento in cui si segue la propria inclinazione, però, non si può ignorare il fatto che sia fondamentale in ogni caso, oggi, anche se esse sono legate alle scienze e alle tecniche, condividerle con la realtà che ci circonda. E' necessario quindi in generale eliminare le barriere tra le conoscenze, fino a creare una vera e propria coscienza planetaria, oltre che nazionale. Detto questo non dobbiamo dimenticare che l'Italia è sinonimo ed emblema di una certa cultura umanistica. L'intellettuale italiano, sia esso impegnato nel settore scientifico o umanistico, è considerato, a livello internazionale, quello più poliedrico e con la formazione più completa. Questo connubio di conoscenze contribuisce alla bellezza del nostro paese. A mio avviso, l'unico rischio, nella creazione di una coscienza internazionale che avvicini le varie discipline, è quello di perdere la nostra peculiarità culturale. Se l'Italiano, infatti, non fosse più considerato una eccellenza dal punto di vista culturale sarebbe, dal mio punto di vista di italiana che interagisce quotidianamente con l’estero, davvero un peccato. Ma questo rischio è facilmente arginabile dalle Istituzioni, se si vuole che venga arginato.
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