Ascoli Calcio, Polito: ''Destino nelle nostre mani ma non bisogna mollare di una virgola''
di Redazione Picenotime
martedì 27 aprile 2021
Il direttore sportivo dell'Ascoli Ciro Polito, in vista della ripresa del campionato di Serie B con i bianconeri impegnati Sabato 1° Maggio al "Del Duca" contro la capolista Empoli, si è raccontato a 360 gradi nel sesto numero di "Passione Ascoli Magazine".
Nato a Napoli il 12 aprile 1979, da calciatore ha difeso le porte di Salernitana, Rimini, Lucchese, Mantova, Avellino, Pistoiese, Acireale, Catania, Pescara, ancora Catania, Grosseto, di nuovo Salernitana, Atalanta, Sassuolo, Juve Stabia. E’ a Castellammare, all’età di 37 anni, che decide di riporre i guanti nel cassetto per aprirne un altro, di cassetto, quello che gli avrebbe consentito di ‘agguantare’ il sogno di diventare direttore sportivo.
Quando è maturata l’idea di passare dal campo alla “scrivania”? “Aspettavo l’occasione giusta, gli ultimi anni da calciatore ero più un riferimento nello spogliatoio che in campo. E’ in quel periodo che è maturata la scelta. Gli ultimi anni da calciatore? A Gennaio 2014 mi trasferii al Sassuolo dall’Atalanta, proprio l’ultimo giorno di mercato, una scelta coraggiosa perché a Bergamo stavo bene. A chiamarmi furono Giovanni Rossi e il ds Nereo Bonato, la squadra era penultima e in panchina c’era stato l’avvicendamento Di Francesco-Malesani. In quella stagione fui un asse portante in un gruppo rivoluzionato a Gennaio con ben 12 acquisti. Dopo quattro giornate, Malesani fu esonerato e richiamarono Di Francesco, col quale centrammo la salvezza. Anche l’anno dopo, pur non giocando, diedi il mio contributo fuori dal campo, ottenemmo la permanenza in Sere A, ma c’erano tre portieri sotto contratto e in più ero in scadenza. In quei due anni avevo dato tanto in termini di salvezza, a 36 anni stavo bene fisicamente, ma rimasi a casa fino a Novembre. A Novembre 2015 mi chiamò il mio amico Fabio Caserta, che faceva il secondo alla Juve Stabia in Lega Pro. Si era fatto male il portiere titolare, forzai un po’ la mano per avere due anni di contratto, giocai 18 partite e ci salvammo. Ma strada facendo mi accorgevo sempre più di non vedermi in uno spogliatoio con tanti giovani. Roberto Amodio, che faceva da tramite fra squadra e Società, disse al presidente di inserirmi nell’area tecnica, che vedeva già Lo Giudice come ds. Quando a Novembre quest’ultimo andò via, restai come unico riferimento tecnico. Se ho sempre giocato in porta? Per forza. Nella mia comitiva, nel quartiere di Poggio Reale a Napoli, ero il più piccolo. ‘Se vuoi giocare vai in porta!’ – non avevo scelta. Perché da bambini nessuno vuole andare in porta? Perché per stare in porta dovevi essere un po’ matto, ci buttavamo sulle pietre, mica come oggi... In generale i portieri devono avere qualcosa di “strano”, in campo sei solo contro tutti e poi ti deve piacere il rischio. Prima non c’erano allenatori che volessero la partenza da dietro a tutti i costi, è stato così fino ai miei 28-29 anni. In ogni gara facevo dai 40 ai 50 rinvii. Ero un portiere moderno, la lettura dietro la linea ce l’avevo, giocavo molto alto, ora si richiede più uno con queste caratteristiche, senza dimenticare che il portiere deve sempre parare. Un precursore fu De Zerbi, mio grande amico, al Foggia. Come è nata la passione per il calcio? Sono stato sempre uno scugnizzo, diciamo che non sono mai stato bambino, sempre più grande della mia età. Come ho iniziato? Intanto va detto che in famiglia quello forte era mio fratello Antonio, di tre anni più grande. Era un 10, tutto mancino, forte. A dieci anni giocava con Amedeo Petrazzuolo, oggi preparatore dei portieri dell’Ascoli, nella ‘Scuola Calcio Barretta’. Li acquistò il Napoli per il settore giovanile. Antonio girovagò qualche anno, poi smise. Io non ho fatto le scuole cacio: a 13 anni mio padre mi portò alla Damiano Promotion, un settore agonistico in cui giocava mio fratello. Mi videro e mi scelsero. Due anni lì e poi a 15 anni a Milano, negli Allievi Regionali del Corsico. Potevo andare all’Inter, ero anche stato ad Interello – così si chiamava il centro sportivo - il presidente era Pellegrini, poi arrivò Moratti e saltò tutto. Andai a Salerno. Feci tutta la trafila, Allievi, Primavera e prima squadra, tanta gavetta. Se volevo fare il fantino? Il cavallo era una passione di famiglia, papà Vicenzo era bravo, ma non gareggiava a livello professionistico; avevamo un cavallo e mi aveva insegnato il trotto. E’ vero, volevo fare il fantino, sono stato all’Ippodromo di Agnano, ma quando mi dissero che avrei dovuto pulire anche le stalle,lasciai perdere. Lo facevo già a casa e non mi piaceva. Così lasciai da parte l’idea del fantino. Per un periodo provai anche il tennis, ma alla fine sono tornato al calcio. Nonostante abbia 42 anni, dico che erano altri tempi. Io facevo l’autostop per andare all’allenamento. Quando giocavo nelle giovanili della Salernitana e non potevo fare il biglietto del treno per la tratta Napoli-Salerno, mi nascondevo in bagno per eludere i controlli. Ancora non guadagnavo, a 15 anni facevo il terzo portiere e sono stato senza contratto fino a 18 anni. Una volta mi hanno beccato e mi hanno fatto scendere a un’altra stazione. Ma se non mi arrangiavo mio padre non mi poteva accompagnare agli allenamenti tutti i giorni. Sono esperienze che ti portano ad avere qualcosa in più nei momenti di difficoltà. Sono sempre stato un autodidatta. Oggi la gavetta è un’offesa, la C non la vogliono sentire, io consiglio sempre di avere pazienza, di soffrire, di arrivare a 24 anni, prima di restare a un certo livello per 12-13 anni. Ma i ragazzi di oggi non l’accettano, il calcio è cambiato. Prima giocavamo per strada, mettevamo la maglietta a terra per delimitare le porte; oggi i ragazzi stanno davanti alla playstation. Solo un decennio fa in uno spogliatoio c’erano tanti leader, ora se ne trovano sempre meno. Mio figlio? Vincenzo ha 22 anni, è un terzino, gioca alla Casertana, ma per due anni ha militato nel Gela. Mia moglie mi disse: “Sei un pazzo, dove lo hai mandato mio figlio?”. Ma la gavetta va fatta. Oggi manca anche ai genitori, i ragazzi sono troppo tutelati, diventa sempre peggio. Matrimonio con Arianna molto giovane? Avevo 19 anni, lei un anno e mezzo meno, eravamo ragazzini. Non guadagnavo e Arianna era incinta, così un giorno incontrai l’allora presidente della Salernitana, Aniello Aliberti, gli dissi che la mia fidanzata era in attesa e avevo bisogno di un contratto. Mi rispose: ‘Vai in sede e firma per tre anni’. L’arte dell’arrangiarsi per me era normale. Ad ottobre andai al Rimini, in C2, la mia prima esperienza. Il mese dopo io e Arianna ci sposammo, neanche il latte sapevamo riscaldare. A marzo del 1999 nacque nostro figlio Vincenzo. Come ho conquistato mia moglie? Abitava vicino al mio quartiere, ci siamo conosciuti nel 1995 ad una festa di piazza, ho visto questa ragazzina e abbiamo iniziato a parlare, ricordo ancora che eravamo seduti sui gradini della scuola, proprio dietro alla piazza. Arianna aveva il coprifuoco alle 23 e quella sera fece un po’ più tardi così suo padre l’aspettò fuori la porta. La redarguì e il giorno dopo non la fece uscire per punizione. La frequentazione è stata complicata solo all'inizio, poi ci vedevamo sempre. Tre anni di fidanzamento e poi ci sposammo a Napoli. Il prete mi disse: “Devi farti la Comunione?”. E io “No, mi devo sposare”. Quest’anno festeggiamo 23 anni di matrimonio. Nonostante avessimo all’inizio poche risorse, non ci siamo fatti mai mancare nulla. Dalle mie parti si usava regalare al matrimonio le buste coi soldi e ricordo che il vestito di nozze lo acquistai col denaro dei miei compagni di squadra del Rimini. Quanto è stata importante per la mia carriera? E' stata fondamentale, mi ha sempre seguito, spesso mi è capitato di cambiare squadra a gennaio e ricordo che tornavo a casa dall’allenamento e dicevo “Prepara le borse che andiamo via”. Lei non ha mai detto nulla, mi ha sempre lasciato la libertà di scegliere, ho sempre deciso con la mia testa. Oggi difficilmente è così. Arianna è stata il mio pezzo forte, quando ero più giovane non ci pensavo due volte a discutere. Comunque anche lei è una sanguigna, a volte sono io che la devo tenere. La famiglia mi ha sempre seguito ovunque, anche i miei figli, Vincenzo e Alessia, si sono sempre ambientati. Sono nati a Napoli quando giocavo col Rimini e poi con l’Acireale. Quando hai una moglie che ti supporta sempre è tutto più semplice. Cambiare spesso città fa crescere in modo diverso, i miei figli sono caratterialmente più aperti, infatti, ovunque vivessimo, facevano subito amicizia. Anche oggi, nonostante Vincenzo giochi e mia figlia studi, cerchiamo sempre di vederci e stare insieme. Ad Ascoli vivo in hotel e spesso vengono a trovarmi. E poi fra due mesi diventerò nonno a 42 anni. L’ho detto che sono stato sempre più grande dell’età che avevo e anche in questo ho anticipato i tempi. Scherzi a parte, all’inizio non l’ho presa bene, Alessia sta ancora completando la scuola di moda. Fra due mesi mi renderà nonno e, nonostante il pancione, appena può viene ad Ascoli”.
Il ds bianconero ha poi spiegato come viveva le partite da calciatore ed ora in un'altra veste. "Avendo un carattere molto sanguigno, punto di forza da calciatore, non soffrivo la gara, la vivevo tranquillamente. Ero un carismatico, dal carattere forte. Ora da direttore sportivo diciamo che la vivo bene, rispondo al telefono fino a 2 minuti prima del fischio d’inizio, ma, quando comincia la partita, entro in ansia e, non potendo incidere o sfogare l’adrenalina sul campo, soffro due volte. A Lecce e Ferrara, ad esempio, non sono riuscito a vedere la partita fino alla fine. A Lecce ero in tribuna con mister Sottil, squalificato. A un quarto d’ora dalla fine mi ha detto di essersi girato e di non avermi più trovato. Ero a camminare per Lecce, avevo calcolato il tempo restante alla fine della gara, avevo messo il telefono offline e le cuffiette per non sentire nulla. Giravo come un’anima in pena, ma alla fine non ce l’ho fatta, ho fatto una video chiamata a mia moglie, abbiamo vissuto insieme gli ultimi 30 secondi. Poi di corsa allo stadio, arrivo negli spogliatoi e mi dicono “per fortuna il rigore sbagliato…!”, ma io non sapevo nulla perché me l’ero perso. A Ferrara lo stesso. Al 32’ minuto del secondo tempo, ricordo che erano le 22.37, non ce la facevo più e sono andato via. Ho fatto il calcolo dei minuti restanti e messo offline il telefono. Non so quanti chilometri ho percorso, a un certo punto riattivo il cellulare e chiamo mia moglie. Occupato. Chiamo un mio amico e mi dice che mancano 40 secondi. Che sofferenza... Alla fine urlavo da solo come un matto per la città, ho fatto 5-6 chilometri correndo verso lo stadio. Come farò nelle ultime partite della stagione? Non lo so, intanto in casa non mi è mai capitato di andare via. So che ci sarà da soffrire ancora, dobbiamo fare altri punti, speriamo che con questa applicazione e mentalità riusciremo a conquistare la salvezza. Amicizia nel calcio? Ho tantissimi rapporti, sono partito dalla C2 fino ad arrivare in Serie A, ho fatto una grandissima gavetta e mi sono ripromesso di non cambiare mai. Ho sempre sofferto quando colleghi o pseudo colleghi ti rincontravano dopo un po’ di anni da avversari e facevano finta di non vederti perché erano arrivati a un certo livello. Premetto che ho tanti amici, a cui mi lega una stima profonda, ma che sento saltuariamente. Molti hanno giocato con me nelle giovanili, poi ce ne sono altri che sento frequentemente: De Zerbi è uno di questi, ha giocato con me ad Avellino e a Catania insieme anche a Sottil; siamo rimasti in grandissimi rapporti per tutto il tempo. Un altro grande amico, con cui ho un rapporto quotidiano, è Caserta, mi ha fatto iniziare a fare il ds a Castellammare e io ho iniziato a farlo allenare. Poi ci sono Paolo Bianco, nello staff di De Zerbi, Matteo Brighi, Paolo Cannavaro e Gennaro Sardo. Col tempo un legame fortissimo l’ho instaurato con Fabrizio Lorieri, una bandiera ad Ascoli, l’ho avuto come allenatore e ora siamo molto amici, spesso in estate sono a casa sua; è uno serio, in gamba, preparato, un uomo di calcio. Quando ho festeggiato i quarant’anni è venuto a Napoli da Forte dei Marmi. Sono sempre stato uno molto generoso, al Sassuolo mi prendevano in giro perché preparavo spesso dei pacchi per qualche ex compagno in difficoltà. E nei pacchi mettevo sempre le scarpette da calcio, sia quelle che arrivavano a me dagli sponsor che quelle che scartavano altri compagni. In Serie A ne arrivavano tante. Sono sempre stato così, da calciatore e da ds. Nella vita si deve essere sempre se stessi e nei comportamenti cerco sempre di non sbagliare, sono altruista e questa caratteristica mi ha sempre portato avanti. All’Atalanta avevo ottimi rapporti con Percassi e il figlio, ma non sono il tipo che chiama i presidenti, ero stato lì tre anni, mi sono sempre comportato bene. Penso però che i ruoli non vadano mai confusi, una cosa è il calciatore e una cosa è il dirigente. Fra i tecnici mi sento con Mister Marino e con qualche allenatore di portieri come Gigi Genovese e Franco Senatore. Rispetto dei ruoli tra calciatori e ds? Un calciatore e un direttore possono avere buon rapporto, ma alla fine i ruoli vanno sempre rispettati. E’ la stessa cosa che accade all’interno della famiglia: fra me e i miei figli c’è poca differenza di età, ma io sono il padre e loro i figli. Vincenzo ha 22 anni e gioca in C, con lui sono molto critico, cerco di fargli capire delle cose, anche perché ho fatto un percorso simile. Nel fare le scelte io sono presente, un consiglio glielo do sempre. Gigi Giorgi? Ho giocato con Gigi a Bergamo e mi ha sempre parlato dell’Ascoli. Ci sono quei giocatori che hanno una fede da tifosi e lui è uno di questi. Quando sono arrivato qui a fare il ds l’ho chiamato e gli ho detto ‘Vengo ad Ascoli e non mi telefoni?’. Non l’ha fatto per non disturbare, ma io ho pensato subito a lui e ora è un nostro collaboratore della squadra Primavera, l’ho portato a vestire di nuovo i colori bianconeri. Mi piace che un ex calciatore dell’Ascoli, con un forte senso di appartenenza, stia nel club. Rapporto con patron Pulcinelli? Un rapporto molto diretto, è una persona d’animo e di bontà, un gentleman. Anche se non è sul posto, vive il calcio con grandissima passione, si pone sempre obiettivi ambiziosi, ma quelli raggiunti non sono stati in linea con quanto ha investito, meriterebbe qualcosa di più. Penso che uomini come lui, che mettono soldi e non fanno mancare nulla, vadano tenuti stretti. Del patron non posso che dire bene, fra noi c’è dialogo, tranne quando perdiamo. E’ in queste circostanze che noi uomini di calcio analizziamo bene la sconfitta e i motivi. Faccio questo mestiere perché mi piace prendermi le responsabilità, come quella della scelta dell’allenatore. Se non ci sono feeling, fiducia e stima fra ds e tecnico i risultati non arrivano quasi mai. Ho scelto Sottil perché è uno dei miei amici, con lui ho sempre avuto continuità di rapporti, quando andò ad allenare la Paganese fui io a metterlo in contatto con Luca Fusco. Finora qual è stato l’acquisto più prestigioso che ha fatto? A Castellammare ho preso giocatori sempre senza gestire molti soldi. Cito due operazioni su tutte: Giacomo Calò e Francesco Forte. Il primo lo presi a zero dalla Samp e nel giro di due anni fu venduto al Genoa per una cifra molto importante, l’anno dopo presi Forte dal Beveren: a luglio volevano 500.000 euro, lo portai fino all’ultimo giorno di mercato prendendolo a 20.000 euro. Anche lì fu fatta una plusvalenza molto importante. Il portiere più forte di tutti i tempi? Buffon. Se ho mai avuto un soprannome? Tigerman, perché ero un portiere reattivo, me lo diedero i media di Catania e i tifosi. Piatto preferito? Non ho grandissime preferenze, mi piace quando mia moglie prepara la pasta con una salsa che mette a cucinare la sera prima, sta sul fuoco 8-9 ore, non ricordo come si chiama. Faccende domestiche? Sono molto ordinato, ma in casa me la cavo solo a passare l’aspirapolvere. La mia famiglia? Papà e mamma, Vincenzo e Concetta, vivono a Napoli, vicino casa mia. Abbiamo avuto sempre una famiglia unita, siamo quattro figli. Oltre a me e ad Antonio, ci sono Pina e Angelo, il più piccolo. Chiaramente, sposandomi così giovane, mi sono fatto una famiglia mia. Papà faceva il camionista, era sempre in giro, quando poteva veniva a trovarmi con la mamma. Come mi trovo qui? Ascoli è una piazza che può stare in Serie A, lo dice la storia, qui si lavora bene, c’è una passione viscerale nei confronti di questi colori. E’ incredibile, ho giocato in tantissime piazze calorose ma nessuna come questa. A Bergamo i tifosi fanno il tifo dentro allo stadio, ma in città non ti ferma nessuno. A Catania c’è sì passione, ma quello che ho visto qui non l’ho visto in nessun altro posto, c’è una passione viscerale, che non ti aspetti, anche in considerazione del numero di abitanti. Pensa che mi fermano anche al semaforo e mi dicono ‘Ciao Direttore, forza Ascoli’. Mi riconoscono e mi fermano, nonostante non sia un calciatore. Questo fa capire che in condizioni normali, con gli stadi aperti, avremmo avuto il dodicesimo uomo garantito".
In dieci giorni esatti si decide il destino dell’Ascoli. Quali saranno le armi su cui fare leva? “Per quello che i ragazzi hanno fatto finora sarebbe un peccato perdere il terreno guadagnato, la salvezza è un miracolo per come si era messa la stagione, ha lo stesso sapore della vittoria della Champions. Quando inizi la stagione con l’obiettivo di vincere il campionato e poi lo vinci, sei contento, sì, ma niente di più. Ma fino a qualche tempo fa in tanti non credevano più nella salvezza dell’Ascoli e per questo credo che avrebbe un peso maggiore. Chiedete a Dionisi quanto si è sentito stimolato e affascinato dalla sfida di Ascoli, forse dirà che lo è stato più che vincere un campionato. In questo momento cerco di tenere la squadra con le antenne dritte, sanno bene cosa abbiamo passato, quello che è stato fatto finora è bello, ma non basta. E siccome si sono messi in una posizione di vantaggio, devono dare il 200% per mantenere il margine, il destino è nelle nostre mani, mentre fino a poco tempo fa dipendeva dagli altri. Questi ragazzi si stanno meritando tutto questo ed è giusto non mollare di una virgola".
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Commenti
Achille
martedì 27 aprile 2021
Che dire... Mi ha messo una tale carica addosso solo quest'intervista che capisco come abbia fatto a rianimare uno spogliatoio allo sbando. Compatti fino all'ultima giornata e poi teniamocelo stretto sto DS che ci deve fare una squadra per la prossima stagione che ci faccia finalmente godere!
caste300
martedì 27 aprile 2021
GLI OCCHI DELLA TIGRE DIRETTORE....GLI OCCHI DELLA TIGRE....MAI ARRENDERSI MAI MOLLARE MAI FERMARSI
edelson
martedì 27 aprile 2021
Bravo bravo davvero un bel excursus come piace a noi .questa si chiama forza cosmica dove l aria spinge verso il castellano ..che si chiama ASCOLI il resto è noia.
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