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Coronavirus, Rezza: “Fine lockdown? Governo faccia sintesi tra pareri epidemiologi ed economisti”

di Redazione Picenotime

Giovanni Rezza (Dire.it)

Giovanni Rezza (Dire.it)

Giovanni Rezza (Dire.it)

"Non si può pensare a un ‘tana liberi tutti’ dal 4 Maggio. È chiaro che un Paese non regge un lockdown completo per più di due mesi, non ci vuole un economista per capirlo, ma per noi epidemiologi naturalmente non sarebbe mai ora di ripartire. Saranno i politici a doversi fare carico di questa decisione, tenendo conto di tutte le sfaccettature del problema. Mi sembra logico che alcune attività comincino a ripartire in maniera graduale e parziale, ma si dovrà tener conto del fatto che il virus continuerà a circolare, pertanto dovremo tenere in piedi perlomeno le misure di distanziamento sociale”. Lo dice l’epidemiologo Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di Malattie Infettive dell’Istituto auperiore di Sanità, nel corso di un’intervista via Skype rilasciata all’agenzia Dire. “È stato fatto abbastanza per quanto riguarda l’aumento dei posti letto e delle terapie intensive, così come per l’implementazione degli ospedali Covid. Ora c’e’ molto da fare per la medicina del territorio, dai medici di base ai dipartimenti di prevenzione, vanno rafforzate tutte quelle attività che dovrebbero servire ad identificare prontamente focolai nascenti, diagnosticando e isolando i casi, rintracciando e isolando i contatti, facendo tamponi in maniera mirata. Bisogna aumentare la capacità di fare test e ben venga l’innovazione che ci viene a supporto con delle app, per esempio, in grado di complementare il lavoro dell’uomo. Riaperture? Si potrebbe pensare che alcune attività di tipo ludico-creativo siano meno importanti, anche se smuovono soldi e business, magari ci sono partite Iva che in questo momento non guadagnano nulla. I politici devono porsi questo quesito, ma naturalmente tutto quello che viene fatto dovrebbe essere fatto in sicurezza. Calcio? Se proprio mi vuole stimolare sull’argomento ripresa del campionato è ovvio che in un periodo di lockdown completo questo non è possibile, ma è anche logico che se la situazione migliora probabilmente si potrebbe anche riaprire qualcosa, naturalmente a porte chiuse, con i dovuti controlli e assicurando tutte le condizioni di sicurezza possibili. Non so se sarà realizzabile, ma non sta comunque a me giudicare. Già prima dell'estate? Molto dipenderà dalla situazione epidemiologica e da quello che viene ritenuto, e che deve essere ritenuto per forza dalla politica, il ‘rischio accettabile’. Magari per un uomo di sanità pubblica il rischio accettabile è zero e per un economista è 10, dipende dal punto di vista. La politica deve fare una sintesi. La maggior parte della trasmissione avviene per contatto abbastanza ravvicinato, quando una persona sta per sviluppare i sintomi lì c’è il picco, dopodichè la positività può restare anche a lungo, oppure magari una persona può negativizzarsi e tornare debolmente positività per un po’, non è detto però che sia contagiosa, perchè il picco di contagiosità probabilmente c’è proprio all’inizio dei sintomi. Ci sono molte cose che si apprendono strada facendo, poichè si tratta di un virus nuovo. Dal punto di vista di sanità pubblica si sa che gli ambienti chiusi, in cui i rapporti sono ravvicinati, sono a maggior rischio. Per cui è normale che possano esserlo sia l’ambiente familiare, sia un pronto soccorso ospedaliero, sia una Rsa o una Ra - ha aggiunto Rezza -. Non so se sia stato un errore o meno quello di aver diagnosticato la presenza del virus il 20 febbraio, mentre era già in circolazione da un mese. Ci sono molte giustificazioni. La maggior parte delle infezioni possono decorrere in modo asintomatico o paucisintomatico, possono assomigliare ai sintomi di una banale influenza, quindi durante il picco influenzale è molto difficile distinguere il Covid dall’influenza, a meno che non si verifichino casi gravi. Se compare un caso grave in una persona anziana si può pensare che sia un’influenza o una polmonite qualsiasi, poi capita il caso grave in un giovane, come è successo a Codogno intorno alla metà di febbraio, ed ecco lì che scatta la diagnosi. Quindi ripeto, non so se questo sia stato un errore o meno. La ‘zona rossa’ in 11 comuni del lodigiano è scattata abbastanza velocemente, dopodichè le misure di distanziamento sociale sono state implementate su scala regionale e nazionale, e questo in qualche modo ha risparmiato il centro-sud. Una maggiore preparazione avrebbe potuto sicuramente aiutare ad avere più posti di terapia intensiva e più dispositivi di protezione individuale per gli operatori sanitari che forse avrebbero avuto bisogno anche di un maggior training sull’uso di questi dispositivi per evitare il rischio di contrarre malattie infettive di tipo respiratorio. Col senno di poi tutto è facile. Ma gran parte d’Europa si è trovata nelle stesse nostre condizioni, così come gli Stati Uniti - conclude Rezza -. Italia più preparata in caso di seconda ondata epidemica? Lo spero proprio. Ma per essere più preparati c’è bisogno di investire risorse, e credo che alcune siano state già allocate a questo fine, ma soprattutto bisogna acquisire risorse umane per il controllo del territorio, perchè quello che bisognerà fare è prestare grande attenzione all’insorgere di nuovi focolai epidemici, cercando di contenerli precocemente. Perchè se non si fa questo c'è sicuramente il rischio di un riemergere grave del virus”.


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