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di Redazione Picenotime
Nonostante i timori legati alla mancata sottoscrizione di misure specifiche per contrastare lo strapotere dell’ultra fast fashion sul mercato, CNA Federmoda Ascoli Piceno accoglie con favore l'introduzione della "Certificazione unica di conformità delle filiere della moda" come strumento per promuovere legalità, trasparenza e tracciabilità nei processi produttivi. Dopo un lungo e approfondito lavoro di confronto con le istituzioni, l’associazione - rappresentata in presidenza nazionale CNA Federmoda dall’imprenditrice sambenedettese Doriana Marini - riconosce il risultato ottenuto, auspicando che vengano prese in considerazione le ulteriori proposte di modifica presentate al Governo in relazione alla necessità di mantenimento del carattere volontario della certificazione, elemento fondamentale emerso dal nostro contributo al dibattito. Dal punto di vista dell’associazione, infatti, è necessario affermare con chiarezza che la certificazione deve valorizzare l'intera filiera produttiva e non solo il marchio e il prodotto finale. Si avverte il bisogno di strumenti normativi efficaci, capaci di garantire trasparenza, legalità ed equità lungo l'intera filiera produttiva, superando la logica della certificazione formale per abbracciare un sistema di responsabilità condivisa. In questo senso, negli interessi delle micro e piccole imprese italiane e del Piceno, veri pilastri della manifattura italiana integrati stabilmente nelle catene produttive dei grandi marchi, la certificazione può trasformarsi in strumento davvero efficace solo se inserita in un quadro di riforma complessiva fondato su principi chiari e non negoziabili. Sarà indispensabile, in primo luogo, che la certificazione renda trasparente l'intera capacità produttiva della filiera, valorizzando le competenze e le risorse reali delle imprese artigiane, non limitandosi a verifiche formali sulla conformità di processo e garantendo la completa tracciabilità di ogni fase produttiva e di ogni soggetto coinvolto nella filiera. Accanto alla certificazione, deve necessario emergere il principio dell'equa remunerazione. Per rendere il processo realmente sostenibile, la certificazione deve tenere conto degli audit e delle certificazioni già in essere nelle imprese. È necessaria una standardizzazione degli audit in generale, evitando duplicazioni e sovrapposizioni con le verifiche già effettuate dai brand committenti. Le micro e piccole imprese di filiera sono già sottoposte a numerose richieste documentali e verifiche da parte dei capofiliera, pertanto queste attività dovranno essere integrate e riconosciute nel nuovo sistema certificativo. La certificazione deve inoltre rappresentare uno strumento concreto di valorizzazione del comparto e dell’intera filiera. In questo senso, è fondamentale affrontare il tema cruciale della giustizia contrattuale. Oggi, infatti, le relazioni tra committenti e subfornitori si fondano su capitolati e codici etici non contrattualizzati, privi di tutele effettive. È invece urgente richiamare e applicare la Legge 192/1998 sulla subfornitura, che stabilisce principi di chiarezza e determinatezza dei corrispettivi, a tutela della parte più debole della filiera. Per poter generare effetti positivi nel contrasto alla concorrenza sleale interna, sarà inoltre necessario applicare un sistema di vantaggio per chi pratica prezzi equi, riconoscendo semplificazioni e benefici certificativi ai committenti che garantiscono adeguata remunerazione ai fornitori e, al tempo stesso, mettere in campo controlli pubblici mirati, adeguati e rafforzati, che affianchino il sistema certificativo e colpiscano realmente le irregolarità. Al tempo stesso, CNA Federmoda pone l’accento sull’assenza, nel testo del ddl Concorrenza, di un pacchetto di norme in grado di contrastare l’ultra fast fashion e tutelare la filiera del Made in Italy, come peraltro annunciato dal ministro Urso lo scorso 15 ottobre. Ad oggi, infatti, il mercato è alle prese con un paradosso che non possiamo più ignorare: mentre i prodotti tradizionali, frutto di saperi artigianali tramandati da generazioni, faticano a essere riconosciuti e valorizzati, il settore del fast fashion ha costruito un’identità commerciale immediata e globalmente riconoscibile. Una situazione indubbiamente preoccupante, che giorno dopo giorno costringe le aziende italiane a fare i conti con una concorrenza iniqua, basata su prezzi e condizioni di lavoro insostenibili per piccole imprese e operatori del settore. «Solo attraverso le misure proposte da CNA la certificazione potrà diventare uno strumento di valorizzazione autentica della filiera e non un ulteriore peso burocratico, tutelando davvero chi il Made in Italy lo produce ogni giorno con competenza, passione e rispetto delle regole - afferma Irene Cicchiello, responsabile CNA Federmoda Ascoli Piceno - Il Made in Italy attraversa oggi una fase cruciale che impone un intervento deciso e strutturale, al quale come associazione vogliamo contribuire attraverso delle proposte eque e costruttive, nel pieno interesse delle imprese del territorio». «In queste settimane, dialogando con gli imprenditori e il Governo, abbiamo evidenziato la necessità di un vero e proprio patto di filiera che veda partecipi brand, fornitori e conto terzi in un'ottica di tracciabilità e sostenibilità economica, garantendo il giusto valore ad ogni anello della catena di fornitura - dichiara Doriana Marini, presidente nazionale CNA Federmoda - Sarà necessario, in questo senso, valorizzare i punti di forza del nostro comparto e tener conto delle necessità delle imprese, consentendo così agli imprenditori di rivedere l’organizzazione interna delle commesse, valutare l’ampliamento delle linee produttive, acquistare macchinari e, soprattutto, assumere e formare nuovo personale. Il rischio concreto, che è nostra intenzione scongiurare, è che un provvedimento di questa portata possa tradursi in un ulteriore adempimento burocratico a carico delle piccole imprese. Non possiamo permetterci che le Pmi vengano meno, mettendo a repentaglio un tassello fondamentale della filiera. Come associazione siamo da sempre in prima linea per promuovere la trasparenza all’interno dei processi produttivi della filiera e continueremo a lavorare per contrastare quei fenomeni di illegalità che rischiano di minare la credibilità del Made in Italy». LA SITUAZIONE DEL SETTORE IN ITALIA E NEL PICENO - Come evidenziato dai dati analizzati dal Centro studi CNA, tessile, abbigliamento e pelletteria costituiscono una dei settori più importanti della manifattura italiana, al netto delle difficoltà che hanno caratterizzato le ultime annate. Secondo i dati più aggiornati, all’interno della manifattura il settore conta 79.829 imprese (16% delle base produttiva), 456.000 addetti (11,8% dell’occupazione), 27,3 miliardi di euro di valore aggiunto (8,6% della ricchezza totale) e 62,3 miliardi di euro di export (10,5% dell’export totale). Si tratta, inoltre, di un comparto particolarmente rilevante anche in termini di coesione sociale e in chiave femminile, in quanto le donne rappresentano il 55,5% dell’occupazione del settore, mentre il 37,8% dei ruoli imprenditoriali è gestito da donne, contro il 23,3% rilevato nel resto dell’economia nazionale. Il ruolo di primo piano delle piccole e medie imprese nel fashion Made in Italy è ben evidenziato dal 95,9% rappresentato dalle aziende con meno di 50 addetti operanti nel settore, che occupano il 54,7% della forza lavoro contribuendo alla creazione del 35,7% del valore aggiunto di un comparto a forte vocazione artigiana (il 50,7% è composto da aziende artigiane). I dati elaborati dall’Istat per il territorio compreso dalle Marche e dalla provincia abruzzese di Teramo, inoltre, evidenziano una forte vocazione imprenditoriale al Made in Italy in relazione ai Sistemi locali del lavoro (Sll), ovvero le aggregazioni di comuni contigui basate sugli spostamenti pendolari per motivi di lavoro la cui caratteristica essenziale l’auto-contenimento della domanda e offerta di lavoro. Se a livello nazionale gli Sll del Made in Italy e delle manifatture coprono circa il 50% del totale, tra Marche e provincia di Teramo si assiste a una netta predominanza degli Sll del Made in Italy (ben 18 su 23), con particolare attenzione a tessile e abbigliamento e pelli, cuoio e calzature. «Le nostre imprese, spesso di piccole dimensioni ma di altissimo livello, costituiscono un anello essenziale della manifattura italiana e collaborano ogni giorno con brand nazionali e internazionali, contribuendo in modo concreto alla reputazione del Made in Italy nel mondo - sottolineano Arianna Trillini e Francesco Balloni, presidente e direttore della CNA di Ascoli Piceno - La certificazione unica di conformità delle filiere della moda può rappresentare un fattore positivo, nella convinzione che la trasparenza e la tracciabilità dei processi produttivi possano rafforzare la competitività del comparto. Sarà però fondamentale che la misura sia pensata per valorizzare chi produce con competenza e legalità, e non per gravare le imprese di ulteriori oneri burocratici. Continueremo a sostenere le istanze delle micro e piccole imprese del Piceno affinché ogni riforma sia davvero al servizio della qualità, del lavoro e della sostenibilità economica dell’intera filiera produttiva».