Grottammare: la Fiera di San Martino, tra storia e tradizione
di Redazione Picenotime
lunedì 09 novembre 2015
Uno dei massimi storici patri, Giuseppe Speranza (1830-1905), nel suo libro “Guida di Grottammare” sostiene che la Fiera di San Martino – la più importante tra le sei fiere annue grottammaresi dell’antichità – avrebbe origini remotissime, addirittura preromane, e che sarebbe durata ben tre giorni (10, 11 e 12 novembre).
Fin qui le ipotesi. Il nome della Fiera deriva invece con certezza dall’abbazia benedettina di San Martino, nei pressi del torrente Tesino, edificata attorno all’VIII-IX secolo dai monaci provenienti da Farfa, nel reatino, sulle rovine di un tempio pagano dedicato alla dea Cupra.
Poi, probabilmente nel XIV-XV secolo, con la riduzione dei monaci e a seguito di frequenti incursioni piratesche, per ragioni di sicurezza, epicentro della vita religiosa divenne la pieve di San Giovanni Battista, nel Paese Alto, cosa che comportò anche lo spostamento della Fiera nel vecchio incasato.
Sotto il pontificato di Sisto V, nativo di Grottammare, la Fiera crebbe di importanza: pare, infatti, che il papa avesse concesso agevolazioni fiscali per il trasporto delle merci in tale occasione, così da favorire la partecipazione dei mercanti.
A seguito dell’avvio dell’edificazione del nuovo incasato, sulla base del piano regolatore redatto dall’architetto Augustoni del 1779, un altro papa, Pio VI, il 12 settembre 1786, autorizzò il Comune di Grottammare a celebrare due fiere annue nella zona della Marina nei giorni 18 settembre e 10 novembre (non l’11, come vuole la tradizione recente).
Il mese di novembre era particolarmente propizio per la Fiera, poiché coincideva con l’ultima data di mercato del calendario agricolo. Giorni, questi, in cui si pagavano i fitti e si rinnovavano i contratti agrari, come è ancora in uso tuttora. Ciò significava talvolta anche il trasferimento di coloni da un campo all’altro, con la conseguente vendita di prodotti della terra.
Tuttavia, dopo circa mezzo secolo, il 16 dicembre 1833 il Consiglio Comunale decise di trasferire la Fiera dal 10 novembre al 5 maggio, istituendo anche il mercato settimanale del lunedì. Inoltre, l’anno successivo vennero annullate le quattro Perdonanze cittadine: le feste di San Biagio e Santa Apollonia, che si tenevano nei pressi della chiesa di Sant’Agostino, al Paese Alto, e quelle di San Pasquale e del Santo Perdono, ospitate nel recinto dei frati Minori Riformati.
Ma la scelta di maggio non durò a lungo, e, qualche decennio dopo, si decise di tornare all’antico, ricollocando la Fiera a novembre, nel più periodo più consono a un mercato di natura principalmente agricola e boaria. Infatti, oltre ai prodotti alimentari e agli attrezzi per la coltivazione e la vinificazione, la Fiera era caratterizzata da un gran mercato di vacche, agnelli e capretti, che, per ragioni di spazio, era ospitato sulla spiaggia.
Nel corso dei decenni, tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, la Fiera crebbe: aumentarono progressivamente il numero dei posteggi assegnati, la distanza di provenienza dei venditori e le tipologie di merci vendute, iniziando a interessare anche articoli vari (vestiario, giocattoli, volatili, ecc.) e mestieri itineranti (l’arrotino e lo spazzacamino, su tutti).
Al grande mercato, era inoltre abbinata, in un clima festoso, l’improvvisazione di sfide e scommesse. E forse da qui deriva la leggenda della Corsa dei Cornuti, oggi menzionata spiritosamente riferendosi all’adulterio, ma che trae più probabilmente le sue origini nominative dall’associazione tra le corna degli elmi longobardi, devoti a San Martino proprio nel periodo in cui la Fiera nacque, oppure all’esposizione boaria sulla spiaggia.
Negli ultimi decenni, il drastico ridursi della popolazione attiva nell’agricoltura ha trasformato la Fiera. Il mercato di San Martino non è più specializzato nel settore agricolo, e ha visto aumentare il numero di venditori di vestiti e di casalinghi, mantenendo però una forte connotazione enogastronomica.
Una vocazione, quest’ultima, che è ancora è possibile riscontrare nell’abitudine di consumare nei giorni di San Martino pietanze tipiche come la porchetta, la faraona, il tacchino farcito con i cardi gobbi, i sedani (li Sennere de li Ripà), i panetti di fichi di Monsampolo, le castagne arrosto e il vino novello (come del resto conferma il detto: “A San Martino ogni mosto diventa vino”).
La Sfilata del Capitano del Popolo: un ponte tra la Sacra e la Fiera
Il corteo di figuranti in costumi d’epoca, che si terrà anche quest’anno la sera di domenica 8 novembre, aprirà idealmente la Fiera, insieme all’esibizione di falconeria e all’allestimento di un vero e proprio campo militare medievale all’interno del Giardino Comunale. La Sfilata è ispirata al ruolo del Capitano del Popolo, un magistrato cittadino con poteri militari e giudiziari, che – come attesta lo Speranza, “fino al 1798”, venne nominato in occasione della Sacra e che, oltre a “comandare le milizie urbane, e a giudicare invece del podestà tutte le cause civili e criminali eccetto le capitali per 15 giorni”, “presiedeva all’annua fiera, che vi si tenea il dì di S. Martino in novembre fino al ritorno di nuova Sacra”. Tale legame tra la Sacra e la figura del Capitano, da un lato, e la Fiera, dall’altro, è confermata anche in un testo storiografico di Lino Citeroni del 1923, dal titolo La Festa della Sagra, nel quale si afferma che i “poteri” del Capitano venivano esercitati “poi anche nella susseguente fiera di San Martino”.
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