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Cna Ascoli racconta storia Gino Quattrocchi, gestore del rifugio degli alpini di Forca di Presta

di Redazione Picenotime

sabato 24 novembre 2018

La montagna ora è di nuovo vicina. Come una calamita che ti riporta, con il passo lento e cadenzato degli alpini, sui sentieri che solo pochi privilegiati conoscono. La montagna mai dimenticata e ora, anche se solo in parte e con tante incognite, riconquistata. Per un progetto di vita e di lavoro che si ripete da generazioni. E’ questa, in sintesi, la storia di Gino Quattrocchi, da sempre gestore del rifugio degli alpini di Forca di Presta. 

Siamo nel comune di Arquata del Tronto, ai piedi del Monte Vettore e della Sibilla. Qui tutto si era spento nell’agosto di due anni fa. Vite, case, lavoro. Ma ora il rifugio c’è di nuovo. Non dove stava prima, ma poco più a valle, precisamente nella frazione di Pretare, sempre nel comune di Arquata del Tronto. “Il rifugio storico – spiega il signor Gino – ha bisogno di importanti lavori. E’ rimasto in piedi ma non è agibile, come quasi tutto qui. Noi siamo ripartiti, dopo due anni di purgatorio, in una struttura temporanea che siamo riusciti ad avere grazie al sostegno di molti, primi fra tutti gli artigiani e i funzionari della Cna di Ascoli che ci hanno seguito in tutto il complesso iter burocratico”.

E grazie soprattutto alla tenacia. Gino ripercorre questi due anni come se fosse la storia di qualcun altro. Probabilmente perché così fa meno male. Ma la storia è tutta la sua. “Due mesi nella tenda della Croce Rossa, poi tutti sulla costa. Prima a Porto d’Ascoli, poi a Ripatransone”. Lui, sua moglie Barbara. I suoi due figli, Federico e Lucrezia. “Per due anni – aggiunge – hanno frequentato la scuola superiore sulla costa. Quest’anno abbiamo potuto iscriverli nel loro istituto originario, quello di Norcia, dove hanno ritrovato vecchie abitudini e gli amici di sempre”.

Ora il ritorno. Il rifugio “delocalizzato” può contare su 120 metri quadri. Si cucina di nuovo alla vecchia maniera e si riparte. “Non abbiamo al momento la possibilità - aggiunge – di ospitare per la notte come dovrebbe sempre fare un rifugio di montagna che si rispetti. Ma serviamo pasti caldi e siamo di nuovo in pista. Qui, a casa nostra. Nei due anni passati sulla costa mi sono chiesto tante volte se valeva la pena e se fosse mai stato possibile tornare. E così passavano giornate vuote e senza senso. Ora per fortuna non è più così. Ci si sveglia e c’è un obiettivo. Fra tanti pensieri e tante ipotesi, per il lavoro e la famiglia, alla fine il sogno più bello che si poteva avverare è stato quello di tornare. Ora questo è realtà”.

“Sono storie che riempiono di soddisfazione – aggiunge Francesco Balloni, direttore generale della Cna di Ascoli Piceno – perché sono il segno tangibile che tante nostre azioni di sostegno e di vicinanza portano frutti. Dall’assistenza dei primi momenti, al sostegno economico e sociale con tutti i servizi Cna mobilitati. Per passare poi alla fase più operativa e complessa della delocalizzazione. Fino all’obiettivo che fra tante difficoltà percorriamo insieme ai nostri imprenditori, ovvero quello della ricostruzione e del ritorno nel vero senso della parola”.

Un “ritorno” al passato che però ha il sapore della speranza e il profumo del futuro. “Ora ci siamo di nuovo – conclude Gino Quattrocchi – per restare. Un rifugio è sempre un punto di riferimento. Sono tornate le persone di sempre. Anche loro in situazioni provvisorie come le casette. Ma siamo di nuovo qui. Tutti qui. Con ricordi, lutti, difficoltà e sempre con tanta voglia di esserci”. 

Piano piano, qui, tornano anche i turisti della montagna. Gente che per natura non si spaventa se c’è ancora qualche problema e quindi qualche disagio da affrontare. Anche una tragedia, in fondo, serve a dare conferme. La montagna ti chiama e tu ci devi essere. E chi arriva, turista o viandante che sia, si gode posti unici e meravigliosi all’ombra della Sibilla. E impara anche una lezione di esistenza, semplice e forte proprio come la vita. Come la voglia di andare avanti con il passo lento ma sicuro dei montanari che la pianura sono abituati a vederla da lontano, nelle giornate limpide, persa in fondo all’orizzonte.


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