emidio
23/11/2017 15:56
Ascoli – Massese, giocavamo con la maglia rossa, Masoni viene espulso e in porta va Bertarelli: il ricordo di quella mia prima partita dell’Ascoli, avevo 5 anni, oggi ne ho 50 e ho sempre cuore e sangue bianconero.
L’Ascoli è una malattia, come diceva Costantino, una passione che ti porti dentro per tutta la vita. Figlio di ascolani (mi chiamo Emidio), cresciuto e vissuto per 20 anni a San Benedetto, dove quando mio padre entrava al bar e io andavo a scuola o giocavo per strada sotto casa, tutti ci chiamavano “l’Asculà” e noi eravamo fieri e orgogliosi di quel soprannome, perché in fondo non era un soprannome per noi, quelli eravamo e siamo noi: “Asculà”.
E c’ero, i ricordi e le emozioni non si cancellano, c’ero a quel gol di Morello contro il Parma, con la mia bandiera bianconera che aveva cucito mia nonna, a esultare con babbo e Pio (amico di famiglia, ascolano anche lui e anche lui viveva a San Benedetto) dentro al campo per la nostra prima serie A, e babbo che mi diceva “ricordatelo per tutta la vita” e Pio che baciava il terreno, il campo del Del Duca. E sono tanti i “c’ero”, c’ero a quel gol indimenticabile di Casagrande con la Fiorentina ma anche a quello contro il Milan di Sacchi, soffrendo dopo essere rimasti in dieci ma vincendo, c’ero a quella doppietta di Novellino contro la Juventus di Zoff, c’ero in quel derby in cui eravamo sotto nel primo tempo e poi ci pensò Quadri, c’ero a quel gol di Colautti contro la Lazio di Chinaglia, c’ero all’ultimo derby a San Benedetto, io che esulto in mezzo ai sambenedettesi al gol di Barbuti, c’ero a Reggio Emilia ad attendere sugli spalti la promozione in serie A, c’ero nell’invasione ascolana a Cesena, in pullman sotto la sassaiola, e poi la partita dopo, quando Nicolini salvava sulla linea con il Cagliari la nostra permanenza in serie A e il Presidente ci emozionava con quella corsa e il giro di campo prima della partita, e potrei andare avanti, infinitamente c’ero.
Ma ricordo anche quando non c’ero. Si dice che ognuno ricorda dove era nei momenti in cui succede qualcosa di importante, e io ricordo che ero a Pedara alla comunione di mio cugino ad ascoltare la radiolina alla prima partita dell’Ascoli in serie A persa a Napoli, che ero a Montefiore con babbo e altri amici ascolani di famiglia a soffrire davanti alla radio aspettando che finisse la partita, aveva segnato Silva, quasi non ci credevamo, a San Siro contro l’Inter, e ricordo dove ero alla prima retrocessione, babbo a Roma io alle Callare, da mia nonna, a piangere sotto il pino alla fine della partita.
Da trent’anni non vivo più nelle Marche, soffro la mancanza dello stadio, quando posso ci torno, ma quando riesco continuo ad esserci, e c’ero alla nostra vittoria a Cesena, ma c’ero anche a Carpi con mio babbo ottantenne e c’ero sabato scorso, deluso e amareggiato, a Parma.
Tante parole, signor Francesco Bellini, troppe forse, ma potrei andare avanti all’infinito, per raccontarle che cosa significa per me essere ascolano: noi ascolani lo siamo dentro e fuori, sempre e ovunque, con la neve o il terremoto, noi non molliamo mai, abituati a soffrire per poter vivere quel gol, quella vittoria, quella promozione, quella salvezza, quell’attimo di gioia bianconera.
E le sue dichiarazioni di oggi, mi permetta, nulla hanno a che fare con le emozioni di noi ascolani: prendere in mano l’Ascoli, come lei ha fatto quattro anni fa, non era un semplice gesto di attenzione alla sua terra di origine, non era un semplice ingresso nel mondo del calcio. In quel momento la sua diventava una missione, quella di guidare l’Ascoli, nel bello e nel cattivo mare, nelle sconfitte e nelle vittorie, nelle critiche e nelle lodi, questo significa essere Presidente, un titolo che si acquista sul campo, con la passione che va oltre tutto. Non si abbandona la nave, non la si lascia sullo scoglio nel momento di difficoltà, e se proprio vuole lasciarla la sua missione è prima portarla in salvo e poi consegnarla a chi può fare meglio. Solo quando si sa che lasciando si fa il bene dell’Ascoli, si può lasciare, non prima: so che cosa le direbbe il capitano De Falco, a lei la scelta, ma sappia, un ascolano non abbandona mai, noi abbiamo cuore e sangue bianconero.