Luca (AP)
07/06/2018 18:45
Lo ripropongo perché oggi nella concitazione forse ci siamo dimenticati che sono passati 50 anni esatti.
5-6 giugno 1968
Due giorni che sconvolsero il mondo e cambiarono Ascoli per sempre
(liberamente tratto da fatti reali)
5 giugno
Shiran Shiran era un bravo ragazzo. Non avrebbe mai fatto male a una mosca. Aveva appena sparato a Bob Kennedy. Le cucine dell'Ambassador erano un tumulto. Shiran Shiran era stato fermato. Bob Kennedy giaceva sul pavimento. Chiedeva se andava tutto bene. Una pozza di sangue si allargava dietro alla nuca. Urla e pianti. Lamenti di persone ferite. Bob Kennedy venne portato via. Shiran Shiran venne portato via. L'FBI prese possesso del luogo. Indagini immediate. Accurate. Shiran Shiran unico attentatore. Aveva sparato tredici colpi con una otto colpi. L'FBI non era brava in aritmetica. Shiran Shiran aveva sparato stando di fronte a Bob Kennedy. Un proiettile a rientrare era penetrato nella tempia destra. L'FBI non era brava in geometria.
Al Samaritan Hospital si tentava di riparare il cervello di Bob Kennedy. Se fosse sopravvissuto sarebbe diventato un Forrest Gump in giornata no. Finiva la saga dei Kennedy. Joe se l'era portato via la guerra, John se l'era portato via un proiettile magico sparato da un fucile Carcano acquistato per corrispondenza, Ted se lo stava portando via la bottiglia. Il mondo pregava.
6 giugno
Costantino Rozzi fece un segno al fratello Elio:
- Voglio comprare il giornale. Tu parcheggia là. Ci vediamo davanti alla sede.
Salirono a lunghe falcate le quattro rampe di scale. Entrarono.
Un tavolo lungo. Erano una trentina. Seduti. Su tre file. Come i falchi. Come i gatti. Come le volpi. Portacenere pieni. L'aria era satura. Nebbia in Val Padana. Il brusio si interruppe.
Costantino Rozzi li guardò. Attese.
- Sedetevi là, - disse il presidente Leone Cicchi dopo averli salutati. Indicò due sedie vuote.
Costantino Rozzi accavallò le gambe. Indugiò con le mani su un calzettone blu a mezz'asta. C'erano proprio tutti. Riconobbe Pallotta, Panichi e Sabatini. Li salutò con un cenno della mano.
In terza fila Catone si accese l'ennesima sigaretta. Addrizzò le orecchie. Aveva gli stessi capelli fulvi e la faccia squadrata da contadino dell'omonimo. Lo chiamavano Catone perché, come l'altro odiava Cartagine, lui odiava San Benedetto del Tronto. Spulciava il pedigree di possibili acquisti per vedere se c'erano tracce di sambenedettesità. “Quelli sono infetti”, diceva. E di qualsiasi cosa si parlasse terminava sempre con un “e vi ricordo che prima battiamo la Samb a San Benedetto e meglio è”.
Leone Cicchi prese la parola. Spense il brusio con un colpo di tosse.
- Possiamo cominciare. Allora, signori, la stagione calcistica è ormai terminata anche se mancano ancora tre partite. Subito dopo inizia il mercato. La nostra situazione però è difficile, diciamo in stallo. Il 28 maggio il direttivo, e quindi anche io, ha rassegnato le dimissioni dall'incarico. Abbiamo bisogno di un nuovo direttivo e di un nuovo presidente. La situazione economica è difficile, abbiamo debiti con il Comune e con le banche. E con qualche fornitore. Niente di trascendentale. Però la situazione non ci consente nessun sogno di gloria. Noi del Consiglio, in via informale avremmo pensato a te, - lo disse puntando il dito verso Costantino Rozzi, - perché tu con la tua esperienza professionale e la tua capacità organizzativa ci sei sembrata la persona più adatta. Costanti', ci devi dare una mano.
Costantino Rozzi sorrise.
- Veramente... io vi ho sempre dato una mano. Sono dieci anni che verso la mia quota. L'ho sempre ritenuto doveroso. In fondo voi siete i maggiorenti della città e...
Ci fu un mormorio tra i trenta. “Ha detto i maggiorenti?”, “Sì, proprio così”, Vince' Lu Pasticciere si piegò verso il vicino. “Ha detto i maggiordomi o so capite male?” “Ie capite male”.
- e... d'altronde di più non posso fare...
- Senti, Costanti'. Questa è una squadra di calcio...
- No, no, guardate... io ho un'impresa piena di impicci. Tanto lavoro ma anche tante cambiali. Devo costruire la case, i ponti, le strade. Gli enti locali mi fanno ammattire, ogni mese è 'na lotta per incassare e pagare gli stipendi e i fornitori. D'altronde lavoro venticinque ore al giorno. In mezzo a tutto 'sto casi' nen ce po sta spazio pe' lu pallo'. Che poi, veramente, ogni domenica i tifosi me parcheggia pure davanti casa e nen poss 'sci. Mica po' esse'. Pe' vede' undici con le maglie colorate...
- Bianconere...
Costantino si interruppe.
- Parliamoci molto chiaramente: adulti che giocano con i pantaloni corti, inseguono una palla e tremila perso' che sembra che ha perso l'uso dell'intelletto. Nen po esse. Nen po esse. Nen è pe' me.
- A noi non interessa che tu ci capisca. Ci serve uno che ci metta a posto i conti. Ci organizzi. Siamo messi male. Tu sembri adatto per questo scopo.
- Non hai capito. Per me prima viene l'impresa Rozzi, poi viene l'impresa Rozzi e poi viene l'impresa Rozzi...
- Po i bbe pure un quarto posto, - disse uno dal fondo.
Qualcuno rise nervosamente.
- D'altronde, parliamoci molto chiaramente. Per fare 'sto lavoro ci vuole un esperto. Un appassionato. Uno di quei signorini che conoscono i conti del pallone. Quali sono le entrate e quali sono le uscite. E io non sono un ragioniere, io sono un geometra... Appena esco da qui devo andare a Roma. Torno stanotte e domani mattina sto al cantiere alle sei.
- Guarda che per gli ascolani la Del Duca è una cosa grande. Abbiamo giocatori buoni, Pierbattista, de Mecenas, Mazzone...
- Ci stanno pure ragionieri bravi...
- Non è quello. Ci vuole un imprenditore. I ragionieri fanno i conti. Gli imprenditori fanno i fatti.
- Che poi mi guardo attorno. Vedo 'sti occhietti furbi che mi guardano, qualche risolino che sembra un ghignetto, ci manca 'na faina e stiamo apposto... non so neanche come funziona...
- Te lo diciamo subito. Un direttivo di cinque o sette decidi tu...
- Io non decido un bel niente, parliamoci molto chiaramente...
- Va be', va be'. Comunque un direttivo, come dicevo, e il consiglio, questo, - lo disse facendo girare una mano, - che ratifica le operazioni.
- Gli introiti?
- Abbonamenti, biglietti, un po' di pubblicità, qualche soldo dagli enti locali e il contributo della signora Del Duca da Parigi che si è impegnata dopo la morte del povero Cino. Ci sono gli stipendi per i calciatori, ma per dieci mesi perché sono sempiprofessionisti e gli stipendi per chi lavora qua dentro...
- C'avete materiale per lavorare...
- Sì ma ce serve una mano buona. E qui attorno non se ne vede una. A parte te.
- Potete vedere anche a San Benedetto, no? Ci starà laggiù qualcuno adatto.
L'atmosfera si gelò. Un silenzio pesante come il piombo. Una parola ci sarebbe rimbalzata contro. Costantino Rozzi si guardò attorno. Abbassò lo sguardo sui calzettoni. Indugiò come una bambino che sa di averla detta grossa ma non sa perché. Dal fondo qualcuno bestemmiò. Leone Cicchi si grattò la testa.
- Costantino, - disse- la Sambenedettese rappresenta la squadra più forte della regione. Hanno una tradizione calcistica che noi nemmeno ci possiamo sognare... Sette anni di serie B...
- E ci odiano, - disse Catone dal fondo. - Ci odiamo perché nu seme pecurà e loro sono dei luridi pesciari...
- Catone, smettila, - intervenne Cicchi.
- Quess è.
- Veramente, - riprese la parola Costantino, - io qualche sambenedettese che fa il pescatore l'ho conosciuto ma nen so viste mai un ascolano che fa lu pecurare.
- Loro ci odiano, - riprese Catone che era avvampato in viso, - ci odiano come squadra e come città. C'è gente laggiù che non è venuta mai in Ascoli. Per principio. Per odio. “Ascoli è triste, noi c'abbiamo il mare” Ahhhhh...
- Io vado al mare laggiù e 'sta roba non l'ho mai sentita.
- Ti ridono dietro, - disse Catone.
- Comunque sta cosa non la capisco. E' un borgo di mare. Avranno si e no trentamila abitanti, uno stadio decrepito...
- Pensano che sia il Colosseo, - lo interruppe Catone di nuovo.
- Catone... - lo azzittì Cicchi.
- Non fanno nemmeno provincia e mi dite che hanno fatto la serie B per sette anni...
- E' per questo che tu...
- No, no. Voglio solo capire. Ma quando ci giochiamo contro?
- Ci battono, - disse Catone, - giù ci battono e quassù pareggiano. E ci ammazzano pure i portieri.
- Su, Catone! - intervenne Cicchi, - non diciamo stupidaggini.
- Perché, non è vero?
- No che non è vero!
- No, è? Ci hanno fatto quattro goal quella volta. Strulli stava in ospedale in fin di vita e loro che segnavano. In porta ci stava Capelli. Un centrocampista. Non è vero?
- Lo sai che la partita era finita dopo l'incidente...
- Per noi sì. Per loro no. Vuoi dirmi che Caposciutti Capasciutti come diavolo si chiama non segnò il quarto goal? E allora?
- Non è così e non ti fare sentire in giro. Fu una tragedia per noi e per loro. Una disgrazia. Punto.
- Comunque sia prima li battiamo laggiù e meglio è.
Catone si accese una sigaretta e si rimise a sedere.
- Ogni volta che vado al mare, - riprese Costantino, - con me sono sempre gentilissimi. E sanno da dove vengono. Il bagnino arriva e mi fa: asculà, l'ombrellone è pronto...
Catone schizzò in piedi.
- Lo vedi, Costanti'? Ti insulta e tu non te ne accorgi. Per loro “asculà” è un insulto! Lui ti insulta sorridendoti e tu lo ringrazi. Lo sai che tra di loro quando litigano si danno dell'”asculà”? Non lo sai? Te lo dico io! Prima li battiamo laggiù e meglio è, dammi retta.
Leone Cicchi fece un segno infastidito con la mano. Catone si rimise seduto.
- Comunque sta storia deve fini'... - disse Rozzi.
- Ma tu non ti devi preoccupare l'interrupe Cicchi. A noi ci servi per qualche mese, per sistemare i conti e far ripartire l'azienda. Con la Samb ce la vediamo noi.
- No, perché quel signorino del bagnino che mi fa tutte le moine e poi mi piglia in giro mica po ii bbe. Quanto tempo è che non li battiamo?
- Quest'anno, a marzo, li abbiamo battuti in casa, dopo vent'anni più o meno.
- E giù?
- Solo una volta, nel 1927, quarantuno anni fa. Alla Trappoletta. Non avevano ancora il Ballarin.
- Bella robba, - mormorò dal fondo Catone.
- E hanno fatto sette anni di serie B, dite. Noi mai. Sta cosa va sistemata...
Vencè Lu Pasticciere diede di gomito al vicino. Costantino si piegò verso il fratello e disse qualcosa all'orecchio.
Squillò il telefono. Un consigliere andò a rispondere.
- Costantino, è per te.
Rozzi si alzò e prese la cornetta. Ascoltò.
- Va bene, disse,- mandalo a casa. E non gli mette la giornata di ferie. Un figlio che nasce è un figlio che nasce. Mi raccomando. - Riattaccò. Si rimise seduto.
- Vedete? I cantieri, gli appalti, le rogne con gli enti locali, i dipendenti con le mogli gravide. Tra tre ore devo sta' al ministero, se non vado io non pagano, la crisi incombe, famiglie che dipendono da me. Posso prendermi cura pure dei conti di una squadra di calcio? Nen po esse'. Signori, io la mia quota continuo a versarla. Ma per il resto non posso aiutarvi. Davvero.
Il tono non ammetteva repliche. Si alzò. Si alzò anche il fratello.
- Mi dispiace, - disse. - Adesso devo, dobbiamo andare.
Insieme al fratello, e nel silenzio, si diresse verso la porta. Si disse “Nen po esse”, si ripetè “Nen po esse”. Si disse “non ti voltare”, si disse “non ti voltare sennò rimani di sale”. “Non lo fare”, “Vai”. Impugnò la maniglia. Si voltò. Lo guardavano. Vide la passione morente. Odiava deludere la passione. Rimase di sale. L'orologio sulla parete si fermò.
- Va bene, - disse con un sospiro, - sei mesi. Non un giorno di più. Sistemo i conti e basta. E per favore, se è possibile, retrodatiamo il verbale a martedì. Non sono ubiquo e adesso dovrei stare a un'altra assemblea. E vi chiedo una sola cosa. Organizzatemi un'amichevole con la Samb per quest'estate. Al Ballarin.
- Va bene, Costantino, sarà...
Era già uscito.
Vincè Lu Pasticcere schizzò in piedi esultante e scomparve dietro una porta. Gli altri si alzarono. Strette di mano e pacche sulle spalle.
- Tra sei mesi avremo il problema di nuovo, - disse Cicchi cercando di placare l'entusiasmo.
- Tra sei mesi vedremo, - disse Vincè Lu Pasticcere che era riapparso con due cabaret di paste e due bottiglie di Spumante Temperatura Ambiente.
- Paste e sciampagna! Festeggeme!
- O Vincè ma è 'no spumante! E è pure calle, - si lamentò uno.
- Tu bive. Calle fa più bollicine e mbriaca prima. Beveme!
Uno squillo di telefono interruppe la concitazione festosa. Un dirigente prese il telefonò. Ascoltò. Annuì. Ripose l'apparecchio. Avevano smesso di mangiare e bere. Lo guardarono. Attesero.
- Bob Kennedy è morto, - disse.
Alla fine di agosto di quell'anno la Del Duca battè in amichevole la Samb al Ballarin per 1 a 0, goal di Gasparini. Fu l'unica volta nella storia calcistica della due città. Costantino Rozzi elargì ai calciatori stupiti un premio partita di centomila lire ciascuno.
Il resto è storia.