“Il capitale umano”, Virzì propone una Brianza immaginaria
di Redazione Picenotime
mercoledì 22 gennaio 2014
“Il capitale umano” è un film che ti lascia disarmato di fronte alle vicende di due famiglie il cui comune denominatore è incrementare il proprio fatturato in banca. Solo all’uscita della sala rifletti su quanto siano stati bravi tutti: gli attori, il regista, il direttore della fotografia. Questo perché durante il film non riesci a far altro che provare disgusto e orrore. E se lo provi è già un buon segno.
Le inutili polemiche sulla località sarebbero state evitate se chi le ha prodotte avesse visto il film. Siamo in Brianza ma è una Brianza immaginaria, basti pensare che il paese si chiama “Ornate Brianza” che non esiste. Il capitale umano parla di aspetti presenti nell’animo umano e assolutamente in linea con la nostra epoca, per questo in realtà potremmo essere ovunque.
Il film, diviso in capitoli, ci fa vivere lo stesso evento, l’incidente stradale, attraverso alcuni dei personaggi coinvolti. Riviviamo questo momento con occhi e pelle diversa? In questo modo ciò che amaramente colpisce è che i personaggi non si conoscono affatto, hanno tra loro delle relazioni inautentiche ma negli eventi mondani mettono in mostra le migliori maschere che custodiscono insieme agli scheletri nell’armadio. Vivono insieme ma sono estranei l’un l’altro. Qualche personaggio si salva: Roberta (V. Golino) è ignara fino alla fine. E’ ignara di avere come compagno (F. Bentivoglio) un uomo meschino e ripugnante che baratta la felicità della propria figlia per un conto in Svizzera. Carla invece sa che il marito (F. Gifuni) è un imbroglione senza scrupoli ma fa finta di niente. A tratti riemerge il suo volere autentico: la passione per teatro. Propone al marito di salvare un teatro destinato a diventare altro. In un primo momento il marito accetta questa proposta ma quando capisce che non è un buon investimento finanziario ci ripensa e inizia la trattativa per farlo diventare uno stabile di appartamenti. Lei si infuria, ma è una furia che ha la sua libertà solo nell’antro della macchina. Davanti a lui mantiene un’espressione serafica, quasi narcotizzata.
Da piccoli ci insegnano a mettere i quadrati nella formina del quadrato, i triangoli in quella dei triangolo... Carla cerca di essere capita dal marito, cerca di mettere il quadrato nella formina del triangolo. Cerca ciò che vuole nel posto sbagliato. Per questo non è felice ma continua a far finta di niente. Nell’ultima scena, quella della festa, guarda gli invitati dalla finestra, ricordando Madame Bovary che aspetta qualcosa là fuori che non ha avuto il coraggio di cercare fino in fondo.
Nella festa maschere inautenticamente felici che festeggiano perché hanno vinto. “Hanno scommesso sulla rovina di questo Paese. E hanno vinto”. E sulle disgrazie altrui si sono arricchiti.
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