Coro Ventidio Basso, concerto in onore del Santo Patrono Emidio Vescovo e Martire
di Redazione Picenotime
giovedì 27 luglio 2017
Il Coro Ventidio Basso, alle ore 21:30 di Domenica 30 Luglio, terrà un concerto sinfonico corale presso la Chiesa di San Francesco a causa della inagibilità parziale del Duomo Cattedrale.
Il Coro Ventidio Basso è presente in questi giorni a Pesaro al Rossini Opera Festival come coro principale partecipando a 2 opere liriche (4 recite del La pietra del paragone e altrettante de Le siége de Chorinte di Rossini) e al concerto di chiusura (Stabat Mater). Sarà un impegno di alta visibilità e di portata internazionale con direttori di orchestra e registi di fama mondiale e con l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI.
Contrariamente agli altri anni il concerto non sarà diretto dal Maestro Giovanni Farina, appunto impegnato al ROF, ma dal Maestro Maurizio Vaccarili. Con il Coro Ventidio Basso sarà presente il Coro S. Cecilia di Teramo ovvero due realtà corali portano avanti da alcuni anni una fattiva e valida collaborazione artistica.
Domenica 30 Luglio 2017, ore 21:30
Ascoli Piceno - Chiesa San Francesco
PROGRAMMA
Franz Schubert - Tantum ergo in mib magg. D 962
per soli, coro e orchestra
Franz Schubert - Messa in sol magg. D 167
per soli coro e orchestra
1. Kyrie; 2. Gloria; 3. Credo; 4. Sanctus; 5. Benedictus; 6. Agnus Dei
Franz Schubert - Magnificat in re magg. D 486
per soli, coro e orchestra
1. Magnificat; 2. Deposuit potentes; 3. Gloria
Soprano: Valentina Di Cola - Contralto: Federica Ciotti
Tenore: Nunzio Fazzini - Basso: Francesco Baiocchi
Coro Ventidio Basso e Coro Santa Cecilia
Orchestra Benedetto Marcello
Direttore: Maurizio Vaccarili
Composto nell’ottobre del 1828, il Tantum Ergo in Mib maggiore D 962 impiega un quartetto di solisti, coro ed una orchestra formata da oboi, clarinetti, fagotti, corni, trombe, tromboni ed archi. L’assenza dei flauti con il loro suono penetrante contribuisce alla definizione di sonorità particolarmente soffici ed omogenee. La tonalità di Mib maggiore da un tono solenne e luminoso alla composizione basata sul testo del Pange lingua cui Schubert conferisce, nella pacatezza del movimento andante, un’ampia respirazione. Ogni episodio solistico è ripreso dal coro ed in questi echi ben bilanciati la pagina esprime una religiosità dolce e tranquilla, senza inquietudini di sorta, in cui i ricordi della musica settecentesca si fondono ad una melodia di stampo inconfondibilmente schubertiano e ad effetti di vago arcaismo, quando il coro spicca in brevi tratti di enfasi momentanea.
La Messa in sol maggiore D 167, scritta tra il 2 e il 7 marzo 1815, offre pagine di grande bellezza melodica che denotano la parentela con la prima fioritura liederistica. Si apre con un Kyrie pieno di soavità melodica, che ospita al centro un episodio solistico affidato al Soprano su un delicato accompagnamento pizzicato dei bassi. Il Gloria fa perno su una scattante figurazione strumentale che ritorna liberamente nel corso del brano determinandone l’unità: l’antica brillantezza della Messa napoletana settecentesca acquista in Schubert una leggerezza primaverile che stempera in un nuovo clima di ingenuità romantica le eleganze decorative del Rococò. Il prodotto assume in tal modo un carattere originale come conferma il Credo che inizia con la solenne professione di fede ribadita dall’oggettiva regolarità dell’accompagnamento strumentale, implacabile nel suo costante moto ritmico. La costruzione del brano è condotta secondo criteri eminentemente musicali ed il periodico ritorno del ‘ritmo della fede’ disegna uno schema affine a quello del rondò. L’interpretazione musicale del testo sacro, che nel Credo trova la maggior ricchezza di spunti drammatici attraverso la successiva evocazione della nascita di Cristo, della crocifissione e della resurrezione, si piega in questo caso alle ragioni della forma musicale, come richiede d’altronde l’estrema concisione di tutto il lavoro. Il Sanctus è seguito dall’’Osanna in excelsis’ in pungente stile fugato. Il Benedictus rispetta la tradizionale soavità connessa all’intonazione di questo versetto con una bella melodia che sembra una reinterpretazione tipicamente schubertiana della cavatina settecentesca. La Messa si conclude con un Agnus Dei che alterna soli e coro in un gioco di risposte reciproche, mostrando un procedimento espressivo che di Schubert è la firma stessa: dopo l’espressione di una felicità candidamente frizzante, nelle pagine precedenti, qui le ombre oscure del dolore si allungano sul paesaggio musicale, incupendole in un senso di sommessa e lancinante malinconia.
Il Magnificat in Do maggiore D 486, composto nell’autunno del 1816 e datato 25 settembre, è una delle composizioni sacre scritte durante la fase finale del periodo giovanile di Schubert.
Strutturalmente il Magnificat è costituito da tre distinti movimenti che formano un trittico, musical-mente e drammaticamente. Il primo movimento, Allegro maestoso per coro e orchestra, è costruito su due idee musicali in contrasto strutturale: un tema corale e una fuga. Schubert si dimostra un incomparabile compositore lirico nell’Andante del secondo movimento in fa maggiore scritto per quartetto vocale, legni e archi, senza partecipazione del coro, degli ottoni e dei timpani. Qui la linea del soprano domina il quartetto, mentre le voci più gravi ne rinforzano i contorni melodici. Il movimento finale Schubert sceglie di scriverlo in modo concertante, nella struttura di un rondò per coro, soli e orchestra, in cui il ritmo ternario finale è simile al ‘Dona nobis pacem’ sentito al termine delle messe di Haydn e Mozart. Lo spirito gioioso dell’accoglienza della divina maternità da parte di Maria si manifesta, dunque, in tre diversi ma complementari sezioni tematiche: una prima costituita da un inno declamatorio, la seconda e la terza informa lirico-polifoniche lirico (Amen), tutte capaci di trasformazioni in motivi drammatici e conclusivi.
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