Curiosità

In Italia l’antitrust ha multato Google e Apple per pratiche aggressive sui dati

di Redazione Picenotime

Google e Apple sono due tra i principali colossi dell’informatica odierna e sono praticamente nella vita di tutti. Essi, infatti, sono i proprietari della più grande fetta di mercato del mondo degli smartphone, uno strumento che tutti quotidianamente utilizziamo e che ha cambiato in maniera importante la vita di miliardi di abitanti del pianeta.
Google e Apple, però, avrebbero fatto bene a comportarsi in maniera differente e siamo sicuri che, d’ora in avanti, molta più gente installerà una VPN gratuita.

L’antitrust, infatti, ha multato di ben 10 milioni di euro entrambe le aziende per la stessa motivazione: pratiche aggressive sui dati.

Cos’hanno fatto Google e Apple?

Google e Apple offrono ai loro utenti una quantità davvero enorme di servizi gratuiti, ma con il passare del tempo, sempre più utenti hanno scoperto che dietro al termine gratis si nasconde ben altro.

Quando  utilizzare questo termine sono grandi aziende dagli introiti multimiliardari è molto probabile che il prodotto non abbia un prezzo in termini economici ma in termini di utenza. La moneta usata da Google e Apple, secondo l’Antitrust, non è una valuta presente in borsa: è l’utente stesso e i dati che esso genera.

Di per sé la pratica non sarebbe illegittima, se non fosse che il problema di Google e Apple risiede nel non aver informato correttamente i propri utenti su come venissero utilizzati i dati raccolti; a questa va aggiunta la struttura delle applicazioni delle piattaforme, capaci di indurre in maniera quasi inconscia alla cessione dei dati.

Nel corso degli ultimi mesi, specie dopo il caso di Cambridge Analytica e Facebook, sono sempre di più le aziende che hanno messo in chiaro il versante economico dell’utilizzo economico dei dati raccolti tramite le applicazioni.

L’antitrust ha accertato che Google non informa in maniera corretta chi utilizza gli smartphone Android in merito all’utilizzo commerciale dei dati: dati che riguardano il comportamento degli utenti in rete, gli acquisti fatti, i siti visitati; anche le relazioni intrattenute sui social network rientrano all’interno di ciò che viene raccolto dai tracker.

Google, che farà ricorso al TAR contro la multa, ha dichiarato che la sua posizione è differente da quanto descritto dall’Antitrust: la cessione dei dati degli utenti al colosso, infatti, non è il prezzo dell’applicazione bensì una risorsa che permette poi all’azienda di migliorare ulteriormente i propri servizi grazie ad una profilazione più capillare.

Oltre a ciò, l’azienda fa notare che a utilizzare gratuitamente i servizi di Google sono anche gli utenti che decidono volontariamente di non offrire alcun dato alla compagnia, senza alcun tipo di discriminazione; questi utenti o utilizzano servizi come una VPN gratuita o disattivano i sistemi di raccolta dati tramite le impostazioni dello smartphone.

Anche Apple si muove su una linea difensiva molto simile, dichiarando che nel suo caso i dati raccolti dagli iPhone sono utili soltanto al miglioramento dei servizi offerti e non vengono ceduti ad altre aziende; per questo motivo non è possibile provare un arricchimento del colosso sulle spalle di chi utilizza uno smartphone made in Cupertino.

L’antitrust, nonostante i ricorsi al TAR, è comunque intenzionato a considerare scorrette le mosse di Apple e Google.

C’è da sottolineare come l’entità delle multe non sia granché se commisurata alle dimensioni gargantuesche dei colossi in questione.

È possibile proteggersi dai comportamenti scorretti di Google e Apple?

Questa storia è qui per ricordarci una cosa che in molti sanno e che altrettanti dimenticano: le aziende raccolgono dati su di noi e spesso lo fanno senza ricordarci che abbiamo dato loro il consenso, non permettendoci agilmente di cambiare idea. Chi è stanco di concedere gratuitamente dati ai colossi del settore tech può iniziare a sfruttare strumenti come le VPN.

In questo modo, i dati raccolti da aziende come Google o simili risulteranno inutilizzabili ai fini di profilazione, diminuendo il quantitativo di denaro che si può generare dalla raccolta dati. Una VPN, grazie all’utilizzo dei protocolli di tunneling, ha il potere di usare algoritmi di crittografia in maniera sicura su ciò che viene ricevuto e inviato da un dispositivo connesso a Internet; in tal caso i tracker, essendo sprovvisti della chiave crittografica utile per la lettura dei dati, si riportano a casa dati illeggibili.


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