Legge 104, quando si configura l'abuso dei permessi e come scoprirlo
di Redazione Picenotime
giovedì 20 giugno 2019
I lavoratori dipendenti possono godere di diversi benefici ma, purtroppo, capita spesso che tali benefici vengano sfruttati per finalità diverse da quelle per le quali sono state originariamente concepite. Uno dei casi più frequenti è l’abuso dei permessi ex Legge 104, una particolare categoria di permesso retribuito introdotto da una legge entrata in vigore nel 1992.
Cosa sono i permessi ex Legge 104
La Legge n. 104 del 1992 dispone una serie di misure di carattere assistenziale a favore dei soggetti portatori di una disabilità o affetti da una menomazione. Lo scopo della legge è quello di assicurare le necessarie ed opportune misure di assistenza e di favorire il reintegro della persona nel mondo dell’istruzione e del lavoro, oltre a favorire l’integrazione nella vita sociale e collettiva. Tutto ciò viene implementato attraverso una serie di benefici ed agevolazioni che possono riguardare anche i familiari del beneficiario principale.
La legge 104, infatti, concede ai lavoratori dipendenti la possibilità di usufruire di tre giorni di permesso (retribuito) al mese; durante questi tre giorni, il beneficiario del permesso – che deve essere un convivente o un familiare fino al terzo grado di parentela della persona portatrice di disabilità – dovrebbe, in teoria, utilizzare le il permesso per assistere il familiare o il convivente disabile.
In origine, l’assistenza doveva essere continuativa ma alcuni sviluppi giurisprudenziali hanno ‘ammorbidito’ la norma: in sostanza, durante i giorni i permesso, il dipendente ha sì l’obbligo di accudire il parente disabile ma può, in misura ragionevolmente contenuta, dedicarsi anche ad attività di natura personale (purché quelle assistenziali restino primarie).
Quando si configura l’abuso dei permessi ex Legge 104
Purtroppo, così come altri tipi di permessi (come ad esempio quelli sindacali), anche quelli concessi ex Legge 104 possono essere oggetto di abuso. Nello specifico, spesso costituiscono l’espediente che consente al dipendente di mettere in atto atteggiamenti di assenteismo, ovvero assentarsi dal luogo di lavoro senza un valido motivo (oppure adducendone uno falso). Anche per questo motivo, il ricorso costante a questo genere di permesso da parte dello stesso dipendente va monitorato, specie se i giorni di assenza assumono una connotazione strategica (cadendo in corrispondenza dei medesimi giorni, magari subito prima o subito dopo il fine settimana, oppure durante i turni di lavoro più gravosi).
Il datore di lavoro, per tutelare i propri interessi, può dare mandato ad un’agenzia di investigazione privata specializzata in indagini aziendali – come ad esempio Inside Agency – di svolgere una serie di controlli Legge 104, al fine di individuare eventuali casi di abuso che possono danneggiare l’attività aziendale e la sua organizzazione interna.
Le indagini sono rivolte principalmente a registrare gli spostamenti e le attività del dipendente durante le ore di permesso; se questi svolge attività non congruenti con quelle di assistenza al familiare o convivente disabile, il materiale raccolto dagli agenti potrà costituire un elemento di prova a supporto di un provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore (che in alcuni casi può tradursi nell’interruzione del rapporto lavorativo).
Le operazioni di investigazione sono costituite per lo più dalla supervisione del soggetto indagato, sia essa attiva (tramite pedinamento) o passiva (appostamento); la raccolta di materiale fotografico o video, così come l’acquisizione di eventuali fonti alternative di reddito (nel caso in cui il permesso venga utilizzato per svolgere una seconda attività lavorativa) può aiutare a comprovare in maniera dettagliata le modalità di abuso del permesso. Oltre alla tutela degli interessi propri e dell’azienda, il datore di lavoro è spinto a commissionare indagini ad hoc a carico di un dipendente sospettato di fare un uso improprio dei permessi ex Legge 104 anche per un altro motivo; nel caso in cui il dipendente licenziato faccia ricorso avverso al provvedimento, aprendo un processo giudiziario, il datore di lavoro deve accollarsi l’onere di prova, ossia produrre gli elementi che giustifichino la rescissione del contratto.
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