Curiosità
di Redazione Picenotime
I bookmaker inglesi sono come vecchi maestri: hanno inventato regole che ormai guidano quasi tutto il settore delle scommesse globali. Se si va indietro nel tempo, li si trova tra fantini e cappelli a cilindro, osservando cavalli sfrecciare nel XIX secolo. Poi, nel corso dei decenni, sono cresciuti come pochi altri, imparando a navigare nel mare dell’innovazione digitale ma rimanendo sempre fedeli a riti di quartiere e codici non scritti. Il loro racconto, insomma, è qualcosa che si trova nei libri di business, ma anche nelle storie raccontate ai tavoli dei pub di Londra: una fetta di cultura popolare che ancora oggi detta legge in tutta Europa, con una naturalezza quasi sorprendente.
Quando si pensa all’inizio dei bookmaker nel Regno Unito, non si può separare il loro sviluppo da leggi molto influenti ( diciamolo, vere pietre miliari ( che hanno tentato fin da subito di dare regole a un mondo all’epoca piuttosto caotico. Si parla inizialmente di scommesse veloci fatte nelle scuderie e nei pub, poi la storia inizia a intrecciarsi con quella di alcune personalità che portano una ventata d’ordine e rispettabilità.
Però bisogna ammettere che senza alcune misure legislative, forse oggi non avremmo le scommesse come le conosciamo. In mezzo a tutto questo, alcuni operatori si stavano già differenziando: qualcuno vedeva più in là e capiva che serviva professionalità, se volevano consolidarsi davvero.
Le prime mosse di questi bookmaker non aams inglesi fecero parecchio scalpore, soprattutto man mano che aumentava la fama delle corse di cavalli. All’inizio era il far west: ogni operatore si inventava le sue regole, e spesso era difficile distinguere chi giocasse pulito e chi invece si nascondesse dietro qualche stratagemma. Le autorità, avvedute (e forse anche un po’ esasperate), mettono mano alla situazione. Così arrivano due leggi che cambiano le carte in tavola:
Il Gaming Act del 1845 aveva lo scopo di vietare i giochi organizzati in modo illegale e di mettere un freno alle case da gioco improvvisate.
Il Betting Act del 1853 aggiungeva restrizioni alle “betting houses”, provando a limitare i luoghi dove piazzare scommesse in modo incontrollato.
Applicarle era tutt’altro che semplice ( qualcuno trovava ogni tipo di scappatoia ( ma di fatto si avviava lentamente la strada verso una gestione più regolata e professionale delle scommesse.
In mezzo a quell’atmosfera di crescente attenzione alle regole, emergono volti che ancora oggi danno nome a palazzi e insegne. Ladbrokes apparve nel 1886, attirando soprattutto un pubblico aristocratico appassionato di ippica. Ben presto, però, la sua gestione meticolosa e affidabile le fece prendere piede anche tra la gente comune: un po’ come quando una pasticceria di quartiere diventa la preferita di tutta la città.
Poi il 1934 porta un altro protagonista: William Hill. Da subito William Hill cerca innovazioni, specializzandosi nel “credit betting” e puntando moltissimo sull’attenzione al cliente. Ma la vera rivoluzione ( quella che ancora lascia il segno ( arriva nei mitici anni ’60. Una nuova legislazione lascia aprire le prime betting shop. Quei locali diventano immediatamente un simbolo delle città britanniche, con persone che passano per mettere alla prova la “dea della fortuna”. Da qui in avanti, i grandi operatori inglesi saranno sempre in prima linea: sono loro, per esempio, che guidano il passaggio dalle vetrine delle agenzie alle piattaforme online, aggiungendo live streaming e nuovi modi di scommettere che, all’epoca, sembravano quasi fantascienza.
Spesso si pensa alle betting shop come a semplici negozi dove si piazza una schedina, ma in realtà sono microcosmi vivaci plasmati dalla cultura popolare inglese. Negli anni, queste agenzie sono diventate piccoli mondi paralleli dove si intrecciano chiacchiere, abitudini ripetute e una socialità molto particolare che si percepisce fin dalla soglia. Dopo la legalizzazione degli anni ’60, non sono semplicemente punti di scommessa, ma veri e propri luoghi simbolici.
Basta un attimo all’interno di una betting shop per capire che ci si trova in un luogo dove il tempo sembra scorrere in modo diverso. Pareti ricoperte da poster di antichi campioni e schermi ovunque che trasmettono gare dal vivo o quotazioni aggiornate al minuto, trasformano l’attesa in una specie di rito collettivo. Gli habitué, soprannominati “punters”, sono persone che conoscono il luogo meglio della loro cucina, e spesso appendono le loro speranze al compimento di particolari gesti: quasi come se bussare tre volte su un tavolo potesse davvero cambiare il destino di una corsa.
In effetti, si scopre che ci sono abitudini ricorrenti e superstizioni che fanno quasi parte dell’arredo delle agenzie. Ad esempio:
Molti preferiscono indossare un accessorio “fortunato”, come si trattasse di una scarpa portafortuna prima di una partita importante.
C’è chi non rinuncia a portare con sé una specifica moneta (o addirittura una penna) magari da anni.
Alcuni toccano banco o terminale secondo una sequenza che solo loro conoscono davvero.
Non manca chi pretende sempre lo stesso angolo della sala, come se da lì si vedesse meglio “il futuro”.
Questi gesti servono in parte per rassicurarsi, in parte come scusa per scherzare, ma per molti rappresentano il tentativo di mettere ordine in un gioco che, per natura, resta dominato dalla fortuna. Alla fine, la cosa più interessante è il clima: le discussioni sono sussurrate, non mancano battute tra amici e si respira un rispetto quasi solenne per chi sta decidendo come giocare la propria schedina.
Non sorprende che il modello britannico venga spesso indicato come punto di riferimento nel mondo delle scommesse, proprio per il modo meticoloso e serio in cui impone limiti e standard. Qui, la British Gambling Commission (BGC) non è solo un ente astratto: veglia costantemente sugli operatori e li obbliga a seguire regole molto severe, raccolte nelle Licence Conditions and Codes of Practice, note come LCCP. In pratica, sa essere una presenza molto concreta e persuasiva.
Le LCCP non sono semplici linee guida: impongono obblighi precisi agli operatori, spesso più restrittivi rispetto a quanto richiesto in altri paesi. Gli obiettivi si possono riassumere in alcuni principi chiave che cercano, spesso con successo, di tenere a bada derive pericolose per i giocatori.
Trasparenza e onestà: Bisogna fare in modo che tutto sia sempre spiegato in modo semplice e senza inganni, sia per quanto riguarda le regole che le condizioni delle scommesse.
Protezione dei giocatori: A ogni operatore viene chiesto di adottare misure serie per proteggere chi è più a rischio, come sistemi per auto-escludersi o limiti sui depositi.
Gioco responsabile: È essenziale che venga promosso il gioco responsabile, utilizzando strumenti di controllo e informazione ben visibili.
Antiriciclaggio (AML): Le regole contro il riciclaggio di denaro sono stringenti e mettono all’angolo chi tenta trucchi poco puliti.
Pubblicità corretta: Tutte le campagne pubblicitarie devono rispettare chi è più vulnerabile come i minori, e non possono ricorrere a toni ingannevoli.
Sicurezza dei fondi: I soldi dei clienti devono essere protetti e separati dai fondi operativi della società, così da tutelare anche in caso di problemi economici.
Conformità e reporting: Gli stessi operatori devono controllare ogni giorno le proprie attività e segnalare prontamente ogni problema alla BGC senza aspettare che sia troppo tardi.
Proprio grazie a questo sistema severo, il settore in Inghilterra si è guadagnato la fama di essere particolarmente affidabile e sicuro, attirando spesso attenzione anche da altri paesi.
L’impronta lasciata dai bookmaker inglesi sul resto dell’Europa è visibile ormai ovunque, ben oltre i confini del Regno Unito. Non si tratta solo di tecnologia avanzata: è soprattutto una questione di idee e di comportamenti che sono diventati esempio per tante aziende e per i regolatori di diversi paesi, compresa l’Italia.
Certamente uno degli elementi più trainanti presi in prestito dall’Inghilterra è il live betting. Non è soltanto la possibilità di puntare mentre la gara è ancora in corso, ma anche l’emozione che ne deriva: come vedere un film e scegliere il finale. Nella seconda metà degli anni 2000, i bookmaker inglesi hanno affinato l’offerta con piattaforme aggiornate e facili da usare. Questo cambiamento ha ispirato rapidamente il resto d’Europa.
In Spagna, il live betting viene reso legale già nel 2012. Da subito si segue la via inglese: servizio clienti sempre disponibile e un’offerta ricchissima.
In Germania, la legge del 2021 consente ai bookmaker di proporre scommesse live, copiando molti aspetti della tutela del cliente tipici britannici.
In Italia, si arriva con un po’ di ritardo, ma piattaforme come Sisal.it hanno scelto di adottare gradualmente il modello inglese, offrendo opzioni di pagamento avanzate e un ventaglio di mercati sempre più ampio.
L’influenza inglese non si limita alla tecnologia; sono stati infatti introdotti anche strumenti e regole riguardanti il gioco responsabile che, una volta promossi dalla UK Gambling Commission, oggi rappresentano un’abitudine condivisa tra la maggior parte delle aziende in Europa, specie per quanto riguarda limiti e prevenzione.
È giusto dire che il Regno Unito non si è mai limitato ad assistere: ha di fatto persuaso consumatori e operatori a pretendere standard sempre più alti, tanto da rendere il settore europeo più competitivo ma, cosa tutt’altro che scontata, anche decisamente sicuro. Non è solo questione di anni di storia, piuttosto di aver fissato regole e principi che continuano a essere un punto fermo per chiunque entri nel mondo delle scommesse.
Alla fine, ciò che resta e conta davvero per questo modello inglese è il perfetto equilibrio tra innovazione e tradizione. Grazie a regole molto chiare e a una costante attenzione alla trasparenza e alla tutela dei giocatori, il Regno Unito si mantiene una guida per chi vuole offrire esperienze di gioco che siano al tempo stesso entusiasmanti, responsabili e durevoli. Così, ancora oggi, chi guarda al futuro delle scommesse guarda, quasi inevitabilmente, verso Londra.
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