Curiosità

Didattica a distanza: e le mamme si licenziano

di Redazione Picenotime

Settembre arrivato e anche quest’anno è sinonimo di ritorno sui banchi di scuola o all’università. La pandemia causata dal coronavirus può aver bloccato l’anno scolastico e accademico 2019/2020, ma non l’inizio del 2020/2021. Tuttavia, non mancano le preoccupazioni legate a questa riapertura. Non potrebbe essere altrimenti vista la crescita giornaliera del numeri di contagi e l’avvicinarsi della conclusione della bella stagione.

Il Ministero dell’Istruzione ha studiato le strategie migliori per assicurare un andamento dell’anno in sicurezza per tutti. Inoltre, ha predisposto anche cosa fare nel caso in cui si verifichi un caso di coronavirus in un ateneo o in un istituto.

Tra gli strumenti contemplati per portare avanti la formazione degli studenti compare, ovviamente, la didattica a distanza, già largamente usata nel periodo della quarantena. Viene anche chiamata DDI, ovvero Didattica Digitale Integrata. Il Ministero permette (e incoraggia) agli istituti scolastici e agli atenei universitari ad affiancare le lezioni online a quelle in presenza. Questa modalità non è nuova per il mondo universitario. Realtà come l’Università Niccolò Cusano, da anni usano l’e-learning come strumento di formazione (per capire meglio come sono organizzati, fatevi un giro su https://www.unicusano.it/) . Diverso è il discorso per la scuola. 

Innanzitutto, bisogna considerare le diverse età dei discenti. Gli alunni delle elementari sono troppo piccoli per fare a meno della presenza fisica dell’insegnante e per vivere la scuola senza la classe stessa. Un discorso simile può essere fatto anche per chi frequenta le medie e i primi anni delle superiori. Dai 16 anni in più, lo studio individuale potrebbe essere più semplice, ma il contesto scolastico offre altri spunti all’apprendimento.

Ma la didattica a distanza influisce non solo sull’insegnamento o sull’apprendimento, ma anche sui genitori, in particolar modo sulle mamme lavoratrici. È quanto emerge da una ricerca tramite un questionario online diffuso sui canali social al quale hanno partecipato circa 7000 genitori. L’indagine “Che ne pensi? La DAD dal punto di vista dei genitori” è stata portata avanti da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze umane per la formazione ed è stato coordinato da Giulia Pastori.

Da questa ricerca è venuto fuori che circa il 65% delle donne madri e professioniste non è riuscito a conciliare il lavoro con le necessità dei figli di essere seguiti nella DAD. Il dato preoccupante è che il 30% di esse ha dichiarato di prendere in seria considerazione l’ipotesi di lasciare il lavoro nel caso in cui il nuovo anno scolastico preveda ancora lezioni online. È uno specchio triste, ma realistico, dell’impegno e delle difficoltà che queste donne hanno dovuto affrontare da marzo a fine maggio. Per supportare l’attività scolastica dei figli, sono state richieste anche 3 o 4 ore, proprio come se si trattasse di un lavoro part-time.

Bisogna anche considerare la difficoltà riscontrate per l’uso di metodi diversi: l’insegnante ha il suo, ma non è detto che coincida con quanto sappiano le madri. È chiaro che in circostanze normali, si segue il/la docente, ma è altrettanto vero che in sua assenza, il genitore deve intervenire come può per cercare di spiegare al figlio l’argomento.

Dal test emergono i punti di forza e di debolezza della didattica a distanza. Da un lato essa è servita per permettere agli studenti di acquisire familiarità con gli strumenti digitali e ai genitori per entrare più in contatto con il mondo didattico. Dall’altro, sono stati assegnati troppi compiti e non c’è stato un giusto bilanciamento del tempo da dedicare allo studio e allo svago. Inoltre, una didattica simile, oltre che abbastanza straniante risulta, a lungo andare, poco variegata.

Questa indagine può essere uno spunto per migliorare e soprattutto per cercare di salvaguardare il lavoro di molte donne che già normalmente fanno fatica a conciliare la vita familiare con l’attività lavorativa. 


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