Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele - Parte 6

di Redazione Picenotime

martedì 17 dicembre 2013

Sesta parte di "Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele", racconto a puntate scritto dalla nostra collaboratrice Valeria Lelli che ci riporta ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, con tanti spunti di riflessione e parole che toccano l'animo.

Martedì prossimo pubblicheremo la settima parte, buona lettura!

A Birkenau sembravamo tutti uguali, vestiti uguali, volti spenti che sembravano non aver mai conosciuto la speranza. Non c’era differenza tra noi, se non per il numero che avevamo tatuato addosso. Il mio era: 24779. Non contava il tuo nome, eri solo un numero tra tanti. Avevo preso confidenza con due ragazze nel mio dormitorio: Rebecca ed Eva. Erano molto gentili con me e a volte davano qualcosa da mangiare ad Aristotele e questo mi faceva scendere qualche lacrima di commozione.

Una sera le avevo sentite parlare mentre si guardavano dolcemente. Una frase, tra le tante che Rebecca disse ad Eva, mi rimase impressa: “Tu ci sei anche quando non ci sei e, quando ci sei, ci sei ancora di più.” Erano innamorate; chissà se stavano insieme prima di arrivare al campo o se si erano incontrate lì. Non chiesi quasi nulla per discrezione. Poi una sera nel dormitorio mi voltai verso Eva con la quale ero entrata più in contatto ed ingenuamente le chiesi: “Ma tu quando hai scoperto di essere omosessuale?” Lei mi sorrise bonariamente, poi si fece seria e disse: “Tu quando hai sete te lo chiedi, o senti di avere sete e basta?”. Le sorrisi e mi ricordai che dovevo dare l’acqua ad Aristotele.

L’indomani, all’alba, la sveglia era molto prima del solito orario: eravamo diretti alle docce. Eravamo in fila, i passi lenti e inesorabili. Eva e Rebecca erano dietro di me. Eva tremava come una foglia; le lacrime le scendevano come un fiume in piena lungo quel volto contrito dal dolore ma che raccontava che in un tempo più felice lei era stata una bella donna. Nella fila accanto alla mia c’erano mia madre e mia sorella, dirette ad un’altra doccia. Si diceva che in una doccia ci fosse il gas e nell’altra l’acqua. Quando razionalizzai questo pensiero pensai che in un modo o nell’altro una parte di me se ne sarebbe andata per sempre. Improvvisamente Eva cominciò a vomitare. La fila si fermò ed io persi di vista, per sempre, mia madre e mia sorella.

La tedesca che ci accompagnava le si avvicinò alzandola da terra furiosamente. Eva non riusciva a calmarsi e ricominciò a vomitare; la tedesca caricò la pistola e le sparò sulla fronte. La sua morte non aveva senso, come non aveva senso la morte né la vita di chiunque nel campo. Ed io avevo smesso da un po’ di chiedermi il perché di alcuni eventi. Le cose a Birkenau accadevano e basta...

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Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele

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