Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele - Parte 8
di Redazione Picenotime
martedì 31 dicembre 2013
Ottava parte di "Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele", racconto a puntate scritto dalla nostra collaboratrice Valeria Lelli che ci riporta ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale e della discriminazione razziale nei confronti degli ebrei, con tanti spunti di riflessione e parole che toccano l'animo.
Martedì prossimo pubblicheremo la nona parte, buona lettura!
Il lavoro che dovevo eseguire nel campo era abbastanza semplice, seppur faticoso. Per questo fortunatamente riuscivo ad eseguirlo senza l’aiuto degli occhiali. Anche per recarmi sul posto bastava seguire le altre donne che erano con me. Eravamo come un gregge di pecore, nessuno si aspettava niente da noi se non eseguire gli ordini in silenzio.
Rebecca, dopo la morte di Eva, non era più la stessa: non mangiava più, non dormiva più… Aveva cominciato a pronunciare parole strane, incomprensibili. La notte le ripeteva, senza pace, non concedendosi mai riposo. Sapevo che stava impazzendo. Compresi poi che forse proprio quelle parole prive di senso logico avevano la capacità di rivelare, dischiudere, ciò che ci stava capitando: il non-senso delle nostre esistenze. Quando guardiamo il mondo lo guardiamo sempre con un sentimento. E’ con quel sentimento che poi andiamo a disvelare il mondo davanti a noi.
È con una determinata tonalità emotiva che incontriamo l’Altro. Rebecca non riusciva più ad incontrare nessuno, era come un pianoforte scordato che non voleva più accordarsi agli altri strumenti. Nonostante ciò però, non so per quale miracoloso automatismo, riusciva a portare a termine il suo lavoro quotidiano. Una mattina però il suo solito balbettio disarticolato fu sostituito da alcune parole che compresi distintamente: “è tutto perduto, è tutto perduto”... per poi sentire un grido proveniente dalla parte più profonda degli istinti, dalle caverne dell’essere.
Lasciando subito dopo il posto ad un rantolo, il rantolo di un moribondo. Rebecca si era tagliata la gola. Non voleva più dare voce a quei pensieri che le molestavano la mente. Mi gettai su di lei cercando di fermare con le mani tutto quel sangue che usciva da quel gracile collo ma non riuscii a fermare né il sangue né quell’insopportabile dolore. Vedevo i suoi occhi morire...
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