Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele - Parte 9
di Redazione Picenotime
martedì 07 gennaio 2014
Nona parte di "Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele", racconto a puntate scritto dalla nostra collaboratrice Valeria Lelli che ci riporta ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale e della discriminazione razziale nei confronti degli ebrei, con tanti spunti di riflessione e parole che toccano l'animo.
Martedì prossimo pubblicheremo la decima parte, buona lettura!
La sera, tornata al dormitorio, non c’era Aristotele ad aspettarmi. Era sparito. Durante la notte non chiusi occhio: la mancanza di Aristotele e la morte insensata di Rebecca mi facevano mancare l’aria. Anche la mancanza di una nitida visuale iniziava a pesarmi. Quando indossi gli occhiali le distanze tra le cose mantengono le loro proporzioni, ogni cosa ha la sua distanza. Senza occhiali era come se ogni immagine fosse giustapposta all’altra. La confusione delle linee mi restituiva una visuale caotica, come un quadro sul quale erano buttati distrattamente segni e colori. Quel caos esteriore disturbava fortemente la mia interiorità. Tutto ciò che vedevo (meglio: non vedevo) mi entrava dentro senza criterio, senza limiti e soprattutto senza logica.
Così, da quando non avevo più gli occhiali, per sopravvivere avevo iniziato a sviluppare altri sensi. Mi ricordai che i cani non avevano una visuale nitida come quella dell’uomo, così pensai ad Aristotele che mi mancava terribilmente.
Poi mi vennero in mente mia nonna e i suoi meravigliosi occhiali tartarugati attraverso i quali lei scrutava il mondo. In realtà non era proprio così. A causa di un forte diabete aveva quasi totalmente perso la vista eppure riusciva a distinguere me da mia sorella perfino dal modo in cui salivamo le scale di casa sua. Io, per esempio, correvo sempre su quelle scale. E me lo fece notare proprio lei. Iniziai quindi a far caso che ovunque io andassi avevo l’abitudine di correre incontro ad una persona o ad un luogo, anche se ero in orario. Era il mio modo di essere-nel-mondo: nel mondo io correvo. Un’altra cosa molto bella che mi diceva mia nonna, e che solo a Birkenau riuscii davvero a “sentire”, era che mia sorella ricordava la cannella e io invece avevo il sapore della vaniglia. Lei le persone, non potendole ben vedere, le assaggiava...
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