Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele - Parte 11
di Redazione Picenotime
martedì 21 gennaio 2014
Undicesima parte di "Il mondo a colori (o quasi) di Aristotele", racconto a puntate scritto dalla nostra collaboratrice Valeria Lelli che ci riporta ai difficili anni della Seconda Guerra Mondiale e della discriminazione razziale nei confronti degli ebrei, con tanti spunti di riflessione e parole che toccano l'animo.
La prossima settimana pubblicheremo la dodicesima e ultima parte, proprio in occasione della "Giornata della memoria". Buona lettura!
L’odore della sua pelle mi ricordava quello di mia madre: odore di buono, di onestà e bucato. Il pensiero di mia madre e mia sorella mi piangeva dentro tutti i giorni. La mia testa era un temporale. Chissà se anche mia madre aveva vissuto il campo con la morte nel cuore, come quella dolce donna che mi respirava accanto in quelle notti.
Il senso di colpa di essere ancora viva non mi dava pace, in certi momenti avrei voluto morire anche io; Avrei voluto morire della stessa morte insensata che era capitata a tutti gli altri. Avrei potuto suicidarmi con una pietra tagliente, come aveva fatto Rebecca. Quel coraggio io non ce l’avevo. Il coraggio di darsi la morte per mano propria in quel posto ridava un senso di dignità alle proprie esistenze.
Una mattina mi svegliai più strana del solito. Ero decisa a farla finita. Tornai nel dormitorio a tentoni; ormai conoscevo bene quel tragitto nonostante non vedessi nulla. Mi muovevo lungo quel tragitto come quando nella propria casa si cerca di muoversi nel buio della notte. Con l’unica differenza che quel posto non mi era familiare ma ostile.
In cuor mio speravo di esser vista da qualche tedesco che mi avrebbe freddata con un colpo secco, magari di spalle. Arrivata al dormitorio mi misi seduta all’esterno a gambe incrociate ad aspettare il mio carnefice. Ma invece del mio carnefice a cercarmi era qualcun altro. In lontananza sentii abbaiare un cane. In un primo momento pensai di aver avuto un’allucinazione uditiva. Ma quando si avvicinò a me lo riconobbi senza indugio: era Aristotele...
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